Vittorio Ceccherini, “Enzo”

Vittorio Ceccherini, Enzo , nato a Pisa il 19 settembre 1920 e deceduto nella stessa città il 18 gennaio 2010, nella sua abitazione alle 13,30. Uno dei Comandanti partigiani della XXXIIIa Brigata Garibaldi ” Guido Radi Boscaglia“. Lo ricordiamo con un appassionato scritto di Pardo Fornaciari, figlio di un altro partigiano, Pedro (vedi scheda), che con Enzo condivise la scelta di campo.

Se n’è andato accompagnato dagli affetti familiari un eroe del nostro tempo, Vittorio Ceccherini, il Comandante Enzo. Era nato nel 1920. Geometra, l’otto settembre 1943 era sottufficiale all’Istituto Geografico Militare di Firenze quando si rese definitivamente conto che l’Italia era in mano ai nazisti.
Si dette alla macchia; fu nelle Banda Chirici [ IIIa Brigata Camicia Rossa ] al Frassine, dove una conduzione militarmente disastrosa, ed una spiata, comportarono la morte di vari partigiani e lo sbandamento di tutti gli altri. Enzo rimase tutta la notte con le ginocchia nell’acqua gelata, guadagnandoci i dolori che lo hanno perseguitato tutta la vita.

Ricomposta la formazione sui monti delle Carline, con Giorgio StoppaPaolo” detto anche il Dottore, agli inizi del ’44 avvenne l’episodio che lo ha reso un mito: mentre con altri stava facendo una riunione nel podere Morteto poco distante da Volterra, un drappello di carabinieri fascisti accerchiò il casamento. Un graduato fece per entrare ad arrestare i ribelli riuniti, ma Enzo con un incredibile sangue freddo aprì la porta e gli sparò in faccia. Mentre gli altri si dileguavano, Enzo, inseguito, giunse a Mazzolla paesino vicino Volterra, telefonò ai carabinieri e li avvisò che era stato lui ad uccidere il carabiniere fellone, e che non si azzardassero a far rappresaglie sui contadini, che altrimenti ci avrebbe pensato lui. I carabinieri fascisti non fecero rappresaglie, se non arrestando il padre ed il fratello di Enzo.
La cosa non funzionò, ed Enzo combatté con grande valentìa militare la guerra di guerriglia tra Volterra Siena e Massa Marittima. Si pensi che la XXIII Brigata, di cui Enzo era uno dei tre comandanti, alla fine delle operazioni aveva ben 44 prigionieri, tutti tedeschi (gli italiani, spie e fascisti, furono tutti passati per le armi), che venivano alimentati quotidianamente, e rimanevano giorno e notte legati agli alberi.
Un episodio: un giorno, il monte su cui erano accampati i partigiani fu accerchiato da reparti tedeschi, per rastrellarlo fino in cima. Enzo e Stoppa fecero legare i prigionieri tedeschi nei pressi dei sentieri, ciascuno con un partigiano dietro con il colpo in canna. Quando i reparti si avvicinarono, i prigionieri cominciarono a urlare di tornar via, che sarebbero stati ammazzati tutti: i tedeschi si ritirarono.
Alla Liberazione, i carabinieri felloni reintegrati nei ranghi tentarono di vendicarsi, denunciando il Comandante… per omicidio!
La Brigata si ricompose immediatamente: il Comandante entrò in clandestinità, ed una delle case che lo ospitarono fino all’assoluzione fu quella di mio padre, in via delle Spianate a Livorno.
L’ho conosciuto di persona solo pochi anni fa. Quando seppe che avevo scritto la ballata della XXIII Brigata piombò a casa mia. Sonò, mi fece chiamare e puntandomi il dito addosso mi fece: «Te sei il figliolo di Pedro!» Nessuno mai aveva chiamato mio padre col suo nome di battaglia davanti a me. Capii subito di chi si trattava, il senso del comando emanava dal modo di fare di parlare di atteggiarsi. Entrò dicendo «M’ha detto Pedro che hai scritto una canzone, fammela leggere». Non s’era presentato, non chiese permesso.
Non ce n’era bisogno, senza averlo mai visto l’avevo riconosciuto. Era il Comandante Enzo. Gli portai il testo scritto, mentre la mia nipotina Nina lo guardava più intimidita che incuriosita: aveva allora 5 anni.
Tentai di illustrare un passo della ballata: mi zittì.
Commentò un paio di imprecisioni, che provai a giustificare con esigenze metriche e di rima. Niente da fare, andavano corrette.
Conclusa la lettura volle farsela cantare, ed alla fine, si commosse, per riprendersi subito dopo e dirci “Ora si piange, ma allora, ‘un si piangeva mica!”.