Robert Handen ( per altre fonti Haudin o Houdin)

Giovane partigiano francese organico alla Brigata ‘Spartaco Lavagnini’, rimane gravemente ferito durante il rastrellamento sul Monte Quoio che il console della G.N.R., il fascista Ennio Braberini, ordina all’indomani di un attentato partigiano nella zona, trappola in cui rimangono 19 giovani renitenti alla leva.

Dopo che nell’azione ha perso la vita il partigiano Giovanni Bovini, 10 renitenti vengono subito fucilati dai fascisti a Scalvaia [ Avi Alizzardo, 20 anni – Avi Alvaro, 22 – Borri Cesare, 22 – Boschi Solimano, 20 – Fabbri Armando, 19 – Filippini Ezio, 21 – Pieri Azelio, 21 – Antonucci Lilioso, 21 – Mari Aldo, 22 – Masi Faustino, 22 ], in otto (tra cui Robert che morirà dopo un’operazione chirurgica) trasferiti a Siena, uno sembra abbia deciso di collaborare.
Degli otto trasferiti nel capoluogo, in quattro saranno fucilati dopo un processo farsa: Renato Bindi, Adorno Borgianni, Tommaso Masi e Primo Simi.

Orfano, straniero, di lui si hanno poche notizie, tutte dovute alla testimonianza diretta degli altri partigiani che confermano l’eroico gesto che gli sarà fatale.

Così viene descritto dal partigiano Smeraldo Amidei nel suo saggio ”Infamia e gloria in terra di Siena durante il nazifascismo”

Era il più bel giovane che avessi visto nella mia carriera di medico”, mi ha detto il direttore dell’ Istituto di Anatomia Patologica, Prof. Demel.
Biondo, di statura normale, dal corpo ben formato: il suo aspetto spirava la bontà di un fanciullo.
Avevo visto Robert soltanto due volte: poche parole avevo scambiato con lui; eppure io ho sentito, per la morte di questo straniero, più dolore di quanto non ne provassi per la morte di altri amici, sebbene la loro fine fosse stata di gran lunga più straziante
. Forse il mistero che circonda la sua vita ce lo fa vedere ancora più bello, nella sua virile risoluzione, mentre, in quel fatale 11 marzo, andava incontro a sicura morte per salvare i compagni.

Raccontano i superstiti che egli, accortosi che la sorte di tutti era ormai segnata, pur avendo la possibilità di mettersi in salvo, si lanciò con le bombe a mano contro una mitragliatrice: tra i denti, suprema sfida alla morte, stringeva un pugnale. Una palla gli passò da parte a parte l’addome.
Trasportato dagli infelici compagni sopra una scala fino a Scalvaia, rimase con una parte di loro fino al momento in cui furono fatti salire sul camion per essere condotti al massacro.
Dopo la partenza dei compagni, Handen rimase con Don Sarperi e verso l’imbrunire fu trasportato con un camioncino civile all’ ospedale di Siena.
Ivi fu operato d’urgenza, a notte inoltrata, dal prof. Carli, il quale, sebbene avesse pronunziato, davanti a p. Gaetano Cuppelli, la crudele frase : ”Questa gente andrebbe tutta ammazzata …”, condusse, secondo quanto ha riferito un dottore presente all’operazione, la medesima secondo le regole dell’arte medica.
Ma la gravità della ferita era tale che, dopo un primo miglioramento, Handen incominciò a peggiorare.

Infatti il 12 marzo, verso le 5 del mattino, dopo aver ricevuto i conforti religiosi, spirò.
In quel giorno corse la voce nell’ospedale che Robert, prima di morire, avesse pronunziato questa frase: ”Mon Dieu, sauvez mes camarades, sauvez la France”.
La sua salma, ravvolta in un lenzuolo, fu trasportata all’ Istituto di anatomia patologica, dove rimase per circa una settimana. Fu sepolto secondo l’uso, come tutti quelli che finiscono in quell’ Istituto, se la famiglia non si incarica della tumulazione. […]

Ricorderemo sempre Handen.
E’ morto per l’Italia, per quell’ Italia che aveva pugnalato la sua Patria mentre agonizzava.
La suora che raccolse i suoi ultimi respiri, ha narrato un doloroso particolare che Robert le aveva confidato: era orfano di padre e di madre. Dalla sua scheda, che si trova ll’opedale, risulta che era di professione meccanico, nato a Parigi, di fu Francesco, di anni 18.
Nessun documento ho potuto rintracciare per stabilire con sicurezza i dati che sono trascritti nella scheda dell’ ospedale che riguarda Robert Handen.

(Breve scheda di A. Montalti)