Ottorino Grandi

[ Raggruppamento Monte Amiata – Banda di Tirli  dal 12/09/1943 al 20/07/1944 ]

 

Nato a Massa Marittima il 13 maggio 1909, abita nella frazione di Valpiana.

Frequentate le elementari, è ancora giovanissimo quando comincia a cercare un lavoro, ma di un’occupazione fissa nemmeno parlarne perché il suo antifascismo e le sue idee comuniste costituiscono un ostacolo insormontabile, sbarrandogli ogni strada.

“Siccome lui era comunista, non voleva la tessera del partito fascista, sicché lui il lavoro non l’ha mai trovato, ha sempre fatto da sé”. Cavatore di tufo a Valpiana, Ottorino prepara i sassi a misura con lo scalpellino tondo e la mazza e li cede ai muratori, che glieli hanno ordinati: “Alla cava di tufo ha sempre fatto questo lavoro. Faceva da sé, vendeva i sassi agli imprenditori”. La competenza professionale gli evita gli infortuni, che sono frequenti in quel genere di attività: “Non si è mai fatto male, era una persona attenta, ecco…”.

Al principio degli anni Trenta si sposa, la moglie si chiama Alba Marchini, è nativa di Montemassi, ha quattro anni meno di lui. Dal matrimonio nasceranno tre figlie. Nel 1940, dopo che l’Italia di Mussolini ha dichiarato guerra alla Francia, Grandi viene chiamato alle armi e distaccato ad Orbetello, dove resta fino all’8 settembre 1943.

Arrestato dall’esercito hitleriano insieme ad altri soldati, quando l’esercito italiano si sbanda dopo il vile “fugone” di Vittorio Emanuele III e di Badoglio, Ottorino viene rinchiuso nel carcere di Arcidosso, dal quale, insieme a molti commilitoni, riesce ad evadere, dandosi alla clandestinità. La famiglia, intanto, ha lasciato Valpiana, temendo i bombardamenti aerei, che hanno fatto varie vittime civili nella vicina tratta ferroviaria Follonica-Massa Marittima, e si è rifugiata a Ravi, dove il babbo di Alba fa il minatore alle dipendenze della Marchi. Di ciò informato, Ottorino si sposta dalle macchie di Arcidosso a quelle di Gavorrano, di cui Ravi è frazione, e si unisce ai partigiani:

“Facevano scappare i prigionieri dei tedeschi perché anche a Ravi c’erano, io mi ricordo c’era uno scantinato…, c’era [dei] russi, [degli]  albanesi, di tutte le razze, allora loro [i partigiani] li facevano scappare, [Ottorino] attraverso la macchia li faceva scappare…, li guidava…” I nazifascisti cercano di catturarlo o di costringerlo a consegnarsi, esercitando forti pressioni sui familiari, ma le loro macchinazioni falliscono.

Dopo la liberazione Grandi si trasferisce con la moglie e le figlie a Follonica, dove si iscrive al partito comunista. Quanto al lavoro, continua con grande dignità a fare da sé, senza cercare agevolazioni, e si guadagna duramente l’esistenza scavando i sassi nei depositi di tufo di Valpiana. A Follonica abita per molti anni con la famiglia in una casa ubicata lungo il viale Italia, ai limiti del territorio municipale, ed è amico e compagno di Arturo Bernardeschi (il “Mondiale”), di Corrado Portanti, di Giuseppe Gianneschi, di Giuseppe Signori, di Giovannino Nizzardi e di Edmondo Francesconi.

Il 31 maggio 1962 Grandi si spegne nella cittadina costiera, ad appena 53 anni. Le esequie sono laiche, senza croci e cerimonie religiose, come egli ha espressamente disposto. Il parroco di San Leopoldo, don Ugo Salti, ex partigiano come lo scomparso, da lui conosciuto alla macchia durante la Resistenza, si unisce, in abiti civili, al corteo funebre composto dai familiari, dagli amici e dai compagni di Ottorino.

 

 

Scheda di Fausto Bucci e Aldo Montalti per www.radiomaremmarossa.it