Mafalda Antonelli

Nata a Cinigiano (Grosseto) il 15 febbraio 1921, staffetta partigiana.

Il babbo, Cesare, antifascista originario del Mugello, tagliaboschi di mestiere, l’aveva chiamata Lenina. Cesare subirà le violenze fasciste, perderà il lavoro, così come suo fratello (Guglielmo), che sconterà poi tre anni di confino a Ponza.

Nel 1929, per decisione del Tribunale speciale, il nome di Lenina diventerà, d’ufficio, Mafalda. All’indomani dell’8 settembre 1943, la ragazza, col nome di copertura di “Elena” sarà, insieme alla sorella Leonida (allora sedicenne) e allo zio Guglielmo, protagonista attiva nell’organizzazione, a Montecucco, di una delle prime bande partigiane della Maremma. Sarà “Elena” a tenere i collegamenti con i partigiani della Brigata Lavagnini dell’Amiata e con il comando di Siena del “Raggruppamento Amiata”.

Mafalda Antonelli dovrà però, presto, cambiare zona, per sfuggire alla caccia che le danno i repubblichini. Si sposterà nel mancianese (Grosseto) e si unirà al VII Raggruppamento bande, comandato da Luigi Canzanelli. Anche col “tenente Gino” continuerà nella sua preziosa attività di staffetta e di infermiera. Avrà la stima dei partigiani e delle famiglie contadine della zona, supererà ben due rastrellamenti e riuscirà a mettersi in salvo, anche dopo l’ imboscata in cui cadono Luigi CanzanelliGiovanni Conti. Nella fuga “Elena” si perdette, nella notte fonda, nel fitto della boscaglia, subendo un trauma che l’avrebbe condizionata per oltre vent’anni.

Alla Liberazione, in riconoscimento del suo impegno di patriota, a Mafalda Antonelli fu consegnato il diploma firmato dal maresciallo H. G. Alexander, comandante supremo delle truppe alleate nel Mediterraneo. Ma per vivere dovette emigrare, per lavoro, con la famiglia in Svizzera.

Vive a Lugano, assistita dalla figlia.

(Fonte: Nedo Bianchi, Mafalda e la siepe di ginestre, Effigi Editore 2009).