Giovanni Conti

Giovanni Conti nasce a Montemerano, Piazzetta del Ritiro n. 2bis, nel comune di Manciano alle ore 05 del 15 febbraio 1923, figlio di Gervasio e di Adele Poggini, fratello minore di Belisario, nato nel 1915. Quando il padre Gervasio, nel 1928, muore, a soli 46 anni, tutta la famiglia si trovava, salariata o contadina, al podere “Le Volte”, a valle di Montemerano, vicino al fiume Albegna. La morte fa precipitare la famiglia in una situazione disperata. Belisario, il figlio maggiore, già quattordicenne, viene affidato a certi parenti di Genova, Giovannino, di appena cinque anni rimane con la mamma. Il piccolo, che aveva nel frattempo acquisito un piccolo difetto fonologico, può frequentare solo il primo anno della scuola elementare. Riceve l’affetto grande della mamma ma nessuno, scuola, parrocchia, società si preoccupa di lui.

Solo questo sappiamo di Giovanni, fino a quando le istituzioni, nel 1942, si ricorderanno del giovane chiamandolo alla visita di leva per farlo abile. Il contesto, il periodo, le precarie condizioni sociali ed economiche che pativano le famiglie contadine allora, soprattutto quelle salariate, poco aiutano a ricostruire dettagliate biografie personali, come se l’oblio fosse il naturale portato della povertà e la dimenticanza la condanna della povera gente. Possiamo comunque provare ad immaginarle l’infanzia e la giovinezza di Giovanni, a partire dalla malattia che porterà alla morte il babbo.

Non erano infrequenti allora le morti per banali febbri che, probabilmente poco seguite e trascurate si tramutavano, soprattutto in fisici già debilitati, in veloci ed aggressive polmoniti. I primi sintomi febbrili venivano per lo più trascurati; cosa sarà mai un po’ di febbre, al podere c’è sempre tanto da fare. Quando poi finalmente si chiama il medico condotto del paese, questi arriva al podere, visita, ausculta, prescrive un blando sciroppo, magari consiglia di fare un salasso e riparte salutando con un sospiro. Allontanatosi il dottore sul suo calesse, non rimane altro che ascoltare quei colpi di tosse secchi e taglienti e sentire crescere l’affanno nella stanza bassa e umida; guardare, nel pallore dell’acetilene, quegli occhi che si fanno sempre più scavati e bianchi e tutt’intorno l’acre odore di sudore orina e febbre… Così, da un giorno all’altro, si rimane vedove. Ed è così che si rimane orfani. Il babbo ora non c’è più e la tua infanzia se ne va nella fossa insieme a lui. Per l’adolescenza non c’è tempo: è necessario subito rendersi utili a guardare maiali e condurre pecore. […] Così una stagione segue l’altra […] e non lascia memoria.

Ma c’è anche una strana voglia di altro che cresce dentro, un desiderio, un progetto, un sogno… Ed arriva invece il giorno la cartolina precetto. C’è la guerra e ora è lo Stato che ha bisogno di te. Tutti hanno bisogno di te. Anche tu, avresti bisogno di te. […]

Di corporatura piccola ma ben modellata – era alto 1,60- e di lineamenti regolari e armoniosi, Giovani si presentava con tratti di adolescente per un leggero colorito rosso lentigginoso che caratterizzava il suo viso ed una certa timidezza dovuta ad un leggero impaccio linguistico. A prima vista poteva sembrare remissivo, in realtà era intimamente determinato e cocciuto. La sua indole buona e generosa era la corazza dolce che faceva da scudo ad un carattere ostinato e che mal sopportava i soprusi. Come da foglio matricolare, Giovanni Conti il 7 maggio 1942 è dichiarato soldato di leva; il 3 settembre 1942 viene e arruolato e addestrato; l’8 settembre 1943 risulterà sbandato come migliaia di altri suoi commilitoni riuscendo però a tornare al casa, a Montemerano, il suo paese. Nel mese di gennaio del ’44 entra nella banda del tenente Gino del quale sarà fedele attendente fino alla morte.

(Scheda di Nedo Bianchi tratta dal suo libro Il tenente Gino e il soldato Giovanni, Edizioni ETS Pisa 2007)