COCOLLI DINO

 

 

Nome: DINO

Cognome: COCOLLI

Nome di Battaglia: DICK

Nato a: Massa marittima

Il: 19/11/1922

Qualifica: Partigiano combattente.

Formazione: 3a Brigata Garibaldi “Camicia Rossa”

Proveniente da una  famiglia contadina di estrazione cattolica, fin da bimbo aveva assistito agli arresti “preventivi “ da parte della milizia fascista di anarchici massetani, quando c’erano le  adunate o quando  i grandi gerarchi facevano visita alla città e questa cosa non gli era mai andata giù. Il primo lavoro a 14 anni ,fu di manovale  con una ditta di tre muratori, profondi antifascisti ; entrò poi a lavorare alla miniera di Niccioleta, dove venne in contatto con minatori di fede comunista e qui maturò la sua adesione alle idee marxiste del P.C.I. Provvisoriamente scartato dal servizio militare, viene richiamato alle armi dai repubblichini l’8 settembre ma non si presenta preferendo la clandestinità della lotta partigiana.

Tramite Ferrino Fedeli il  babbo di “Bibe”( Libero Fedeli –  Partigiano), fu accompagnato alla macchia presso la formazione del Chirici  III° Brigata Garibaldi – Banda Camicia Rossa,  formazione massetana ,dove trovò tanti suoi compagni di lavoro. In questi primi momenti le azioni dei partigiani erano rivolte esclusivamente  ad assaltare le caserme per il rifornimento delle armi, pattugliamento del territorio e a fare  azioni di sabotaggio alle  strade e alle linee telegrafiche.
Dopo i fatti tragici del Frassine, quando furono orrendamente uccisi 5 partigiani, la formazione si disperse ed il Chirici dette ordine  di ricompattarsi ma di suddividersi in piccoli distaccamenti: zona di Pomarance al Cerboni, Boccheggiano al Tognoni, Zona Poggione allo Zazzeri, mentre il Comando si trasferì sul confine delle provincie di Grosseto e Livorno al podere Il Caglio vicino a Suvereto.
Fu in questo momento che le azioni si trasformarono, divennero più cruente, con agguati e azioni armate che videro protagonista Dick numerose volte, come quando in zona Monacelle, insieme ad un compagno gettarono due bombe a mano sopra un jeeppone tedesco che transitava nella strada sottostante. Il gruppo di partigiani comandati dallo Zazzeri, di cui faceva parte Dino aveva come quartier generale la “Tana” ( conosciuta come la Tana dei Partigiani – zona del Poggione) .

Un giorno  Dino fu inviato ad approvvigionarsi d’acqua ad una fonte, ma si ritrovò circondato da molti militi in rastrellamento che   cominciarono a sparare diversi colpi, furono proprio quegli spari che salvarono i compagni alla “Tana” che in tutta fretta l’abbandonarono. Dino, a zigzag fra i campi riuscì a dileguarsi nella macchia,e si accorse  in seguito che il cappotto che indossava   era stato attraversato da due fori. Si rifugiò da alcuni parenti in loc. Cipolleri che lo ospitarono nel fienile. La mattina presto però, il cugino lo svegliò perché di nuovo i fascisti erano alle porte del podere alla sua ricerca. Fece appena in tempo a scavalcare la finestra del fienile e a scappare , quindi tornò in gran segreto a casa, dove restò nascosto per alcuni giorni, poi di nuovo fuggì verso la Banda.

All’alba del 10 giugno 1943, il piccolo distaccamento di  cui faceva parte Dick con altri tre o quattro partigiani arrivarono al Villaggio della Niccioleta, dove i minatori difendevano la Miniera effettuando turni di guardia per paura che i tedeschi  la distruggessero. I pochi fascisti residenti, all’arrivo del gruppo se n’andarono verso il Comando tedesco di Pian di Mucini. Fu una festa, la popolazione salutò i partigiani, issarono una bandiera bianca per dare un segno agli alleati che la zona era liberata,poi entrarono nelle case dei fascisti e bruciarono le camice nere e i gagliardetti squadristi emblemi del fascismo. Si recarono poi dal direttore della Miniera e prelevarono merci ed esplosivi per la Banda. Poi se ne andarono. Di lì ad un paio di giorni il villaggio verrà circondato dai tedeschi e dai fascisti che uccisero cinque minatori lì sul posto e deportarono gli altri a Castelnuovo val di Cecina illudendoli di portarli a lavorare,ed invece li giustiziarono senza pietà uno dopo l’altro con le mitragliatrici. Fu una delle prime  e più efferate stragi nazifasciste in Toscana.

Un altro  degli  episodi che  vedono protagonista Dick  è quello del mattino del 21/6/1944. Ricevuta la notizia dell’avvicinarsi delle truppe alleate a Sud di Massa Marittima, iniziò un lavoro di molestia nella piana del Cicalino  dove si trovava ben nascosta nella boscaglia una stazione radio che in continuazione trasmetteva gli spostamenti dei partigiani: Dino  con i due compagni Bruno Giannoni e Torquato Fusi, tutti e tre volontari per la missione, distrussero la stazione radio, fecero saltare due cannoni e catturarono alcuni prigionieri tedeschi. Per quest’azione il Comandante Chirici gli propose i gradi di “sergente” che Dino rifiutò, com’era nel suo carattere schivo e modesto.

Militante comunista di base, chiamato dai compagni “Rovescio” per le sue posizioni, attivista dell’ A.N.P.I.,  negli ultimi anni ha tenuto lezioni di storia della Resistenza locale nelle scuole medie e superiori di  Massa M.ma con una passione e una simpatia rimasta impressa a  tutti i ragazzi. Ci ha lasciati il 12 marzo 2005.

( Scheda di Antonella e Giancarlo Cocolli )

 

Appendice.

IL RASTRELLAMENTO ALLA TANA DEL PARTIGIANO E ALTRI EPISODI.

Tratti dall’intervista a Dino Cocolli del 13 Luglio 2003 rilasciata a Gianfranco Pardini  del Cai di Massa Marittima

Quando a qualcuno del gruppo dei partigiani veniva un po’ di febbre, come successe a Bruno Giannoni, si andava a prendere il latte al Poggione [1] ;  si andava a cercare un po’ di latte: se la febbre non la guarivi col latte non la guarivi con nient’altro! Bruno è sempre stato con noi [2], si è dormito insieme.
Una volta si stava andando verso Prata e si attraversava Pian di Mucini, c’era il grano alto e ci veniva dietro un cane. C’era il chiaro di luna e questo cane cacciò per due ore un capriolo. Quando s’arrivò su, vicino Prata, era già dietro di noi! Senti che intelligenza e che odorato avevano i cani! Non potevamo percorrere le strade normali, eppure il cane ci ritrovò.

Un’altra volta s’era a Niccioleta, il 10 o 11 di quel famoso mese che ammazzarono tutta quella gente [3] . S’andò dal direttore, ci facemmo dare le chiavi, venne il capo magazziniere e ci consegnò cibo e scarpe. Mi chiedi se il direttore della miniera ci aiutava? Eh! Ti aiutava sì, col fucile! Per l’amor di Dio … il direttore era fascio e littorio, era uno squadrista. Il magazziniere, un Mazzolani, mi diceva: “ Ostia, Cocolli, (mi conosceva perché lavoravo a Niccioleta) ma che mi porti via tutto? ”, e io: “Ah sì, eh! Quando venivo [da te a chiedere qualcosa per il lavoro] non mi davi nemmeno i guanti, nemmeno le scarpe, ora le scarpe si portano via tutte !”. C’erano scatoloni pieni di scarpe e noi si era scalzi! Nato d’un cane! Per forza, che era bravo come magazziniere: faceva gli interessi della Società.
Quando a mezzanotte si venne via, dopo aver preso un barroccio di cibo e di scarpe dal magazzino, ci toccò passare da una carrareccia sulla sinistra andando verso S. Costanza [4] , che va su a Poggio Tosoli, poi, cammina cammina, s’arrivò su al Poggione e si scaricò tutto stò barroccio di roba. Dalle Piane si vedeva la torre di Massa con i nostri aguzzini. La terra delle Piane era del Moris, tanta gente lavorava alla macchia.

Vicino alle Piane c’è una tana, una grotta, in cui si rifugiarono alcuni partigiani scampati al rastrellamento del Frassine. In questi posti i tedeschi non venivano.
Bisogna dire che quando gli alleati sbarcarono in Sicilia, i tedeschi si spostarono sempre più a nord, e a Massa ci trasferirono il Distretto militare che rivestiva un’importanza strategica  per la costa tirrenica. Dal Distretto partivano le decisioni dei rastrellamenti compiuti dai soldati e dalle camicie nere. Anche i soldati erano mascalzoncelli, andavano volentieri a fare i rastrellamenti, li premiavano, come quando si va al lavoro: se vieni a lavorare ti do due lire, se non vieni non ti do niente. La persona più schifosa [ignobile] accettava tutto.

Dalla tana, con un buon binocolo, si riusciva a vedere la strada che attraversa la macchia. Una mattina uno del gruppo disse: “ Ho visto accendere una sigaretta  !” Alle sei della mattina?! E di Marzo?! Ma via! [Non ci credevano] Eppure cominciava il rastrellamento ! In tre si rimase di corvè alla tana, gli altri andarono verso Gerfalco e ritornarono verso le 5 della mattina. Io non c’andai, ma detti le scarpe a Giorgio Radi che l’aveva tutte scucite; se le misurò: aveva il mio stesso numero. Io, Marino Neri e Renzo si rimase a far la pulenda.
Quando si rovesciò sul tagliere la pulenda, tornarono i compagni che erano andati a Gerfalco. Così noi tre si andò a prendere l’acqua ad una fonte che ora non c’è più, vicino al podere la Lecceta. Ad un certo punto disse: “ Io m’avvio alla tana ”, e così fece. Io e Renzo avevamo la marmitta. Siccome la marmitta versava acqua dal tappo, occorreva portarla piano piano. Si prese per un campo, lì vicino dove c’era la macchia tagliata, lo stesso punto dov’era stata vista accendersi la sigaretta, senza che noi sospettassimo niente. Da lì si vide sulla strada che scendeva un gruppo di persone vestite da cacciatori: erano i fascisti.

Quando entrarono nel campo correvano e sparavano. “ Renzo, c’è i fascisti ! ” Si buttò a terra tutto e si prese a correre su per la collinetta davanti a noi. Io avevo il cappotto militare – capirai, la mattina era freschetto – in seguito l’avrei trovato pieno di buchi. Noi si serpeggiava per andare su e loro sparavano da morire. Quelli dentro la grotta capirono subito cosa stesse succedendo e prima che arrivassero i tedeschi fuggirono, andando dietro a Marino che era già arrivato.  Dirò che Marino era piccino, vestiva un cappottino, era così piccino che a Massa pensavano che tra i partigiani ci fosse una donna.
Le dimensioni della grotta erano notevoli. Ora è franata, sono caduti metri cubi di terra. Le radici di un leccio l’hanno fatta franare. Per entrare ti dovevi abbassare. Sopra la grotta c’era la carbonaia che serviva da avvistamento. Dentro non si vedeva la luce. Prima del rastrellamento ci siamo fermati una decina di giorni.
I fascisti portarono via tutto: il mio zaino, le mie camiciole, un par di calze nuove fatte dalla mia mamma, poverina, erano dei calzettoni belli e belli alti. Li prese lo zio del Bongi, si faceva vedere in piazza con tutta quella roba, era uno spaccone, trafugava anche la roba dei contadini.

Portarono via tutto e … mangiarono anche la pulenda!!! Un polacco che si trovava con noi nella tana, quando gli altri scapparono, non volle andare via: “ Ah!, io sto qui ” e rimase lì.
I fascisti arrivarono alla grotta seguendo Marino, ma non catturarono nessuno perché erano fuggiti con lui. I fascisti entrarono alla tana – erano 6 o 7 – presero il mitragliatore e le armi.

Quando i fuggitivi arrivarono ad un podere [forse il Filetto], c’era un camion dei fascisti ad aspettarli, erano quassù alle Piane. I rastrellamenti erano fatti con il metodo dell’accerchiamento, o riuscivi a svicolare o se no eri in trappola. Lassù al podere abitava un certo Ciuffenni, che aveva due figlie. Marco piazzò lì il mitragliatore: me lo raccontò in seguito.
Io e Renzo Salvatori, sentendo tutta la sparatoria, s’andò verso l’Uccelliera, dove oggi vanno gli studenti [5].
Aspetta mezzogiorno … aspetta mezzogiorno e mezzo: tutto tranquillo. “ Che si fa, Renzo ? ”, dico io. Piano piano si torna alla tana. Morto il mondo! Non c’era più niente e nessuno. Dove si va? Io dico: “ Si va in Cipòlleri, ci sta un mio parente ” – ora quel podere non c’è più. S’arriva lì, ci stavano due miei cugini: un cugino buono e uno poco buono, ma allora non lo sapevo di chi potevo fidarmi e vado da quello poco buono. Con lui ci stava un fascista anziano insieme alla suocera, erano di Piombino. Gli chiedo dove sta Palmizio e lui mi dice che sta di là, nell’altra stanza. Uno dei miei cugini avendo la terra e le bestie lavorava in campagna, l’altro che non aveva terra lavorava in miniera. Si va di là e mio cugino mi dice : “ Che fai qua ? ” Ed io: “ Ma sta’ zitto, c’è stato un rastrellamento alle Rocche ……” [6].

Il rastrellamento poteva essere frutto di una soffiata. Capirai, questo territorio era tutto di Moris, di conseguenza c’erano le guardie, i fattori, i sottofattori, c’erano i compiacenti, insomma,  si può dire che tutti i giorni c’erano rastrellamenti, ma questo alla tana era stato mirato. Del resto se il rastrellamento lo fanno dal basso e poi si mettono quassù, al podere di Ciuffenni, significa che sanno che scappando in alto gli saremmo andati addosso, è logico.

Tra i contadini c’erano quelli buoni e quelli poco buoni. C’erano troppi partigiani che andavano dai contadini a chiedere da mangiare, era un problema! Del resto i tedeschi e i fascisti li impaurivano. Se avevi bisogno di una agnello era preferibile andare a prenderlo lontano, ma se non avevi le possibilità dovevi prenderlo sul posto, c’era poco da fa! Si sa, il contadino è facile che sia un pecorista [7], ti può dire: “ Ma te lo devo dare proprio io l’agnello ? ”. Quindi più si andava lontano a cercar da mangiare e meglio loro si sentivano. Fatto sta che questa gente, poveretti, erano una quindicina forse sedici che abitavano nei poderi intorno alla tana e avevano dato agnelli, formaggio, avevano consegnato tanta roba.  Quella mattina i fascisti portarono via tutto, anche la pulenda, e mi pare che fosse anche con gli uccellini!

Noi eravamo a Cipòlleri. Ad una certa ora questo vecchio fascista va alla fattoria e telefona ai fascisti di Massa dicendo che al podere c’erano a dormire due fuoriusciti, due banditi. Infatti alla mattina, tra il brusco e il buio, mio cugino s’affaccia alla finestra e vede che, nel campo davanti alla casa stava risalendo un gruppo numeroso di fascisti. Noi stavamo dormendo in un fienile, sopra la stalla. Mio cugino ci disse: “ Ragazzi, c’è i fascisti ! ”  Saltammo dalla finestra e via. Ma mio cugino fu preso e messo al muro sotto la minaccia delle armi: lo costrinsero a parlare (aveva due bimbi piccoli). Disse che la sera precedente erano venuti due uomini e avevano chiesto di dormire lì per una notte. I fascisti proseguirono la ricerca anche nel podere Poggio all’Ulivo, che sta più sotto e che ora è un rudere. Dopo un po’ che eravamo alla macchia arriva una buriana d’acqua; rimanemmo nascosti mentre i fascisti passavano vicino, si potevano sentire: “ Quel pidocchio di contadino li ha avvertiti in tempo, se no l’avremmo presi ! ” Nel frattempo a Cipòlleri arrivarono Annita e la mi’ mamma che avevano saputo del rastrellamento. Erano arrivate a piedi, vennero a portarci il ricambio.

A Massa, i fascisti, fecero il diavolo e peggio ! Mostravano i nostri moschetti sui quali avevamo inciso falce e martello e altri fregi, mostravano le mie calze, insomma facevano i bischeri come fanno i giovani, poi avevano con sé il polacco catturato. Sicché gli abitanti di Massa seppero subito di chi era stata la vittoria.
Quando noi tornammo a Cipòlleri mio cugino ci disse della roba che aveva portato la mi’ mamma e si decise di andare al capanno di Bibe.
Quando c’era stato il rastrellamento io avevo in testa una cicca [un cappello a basco] che avevo perso. I fascisti la ritrovarono e andarono a quel podere e chiesero a chi appartenesse. Allora ci stava il nonno del falegname di Ghirlanda che fa le finestre, un Brinzaglia. Quell’omo disse: “ Ma io ne vedo tanta di gente con la cicca, come faccio a sapere di chi è quel berretto ?! ” .

Un certo Ferrino, il babbo di Bibe, disse fra sé: “ Diobono anche il mi’ figliolo portava questo berretto ! ”. Difatti anche Bibe lo portava, ma la mattina del rastrellamento Bibe non era con noi, ma Ferrino lo seppe solo dopo.
Mio cugino ci disse che lì era stata la mia mamma e poiché cominciava a rabbuià, si decise di andare al capanno del babbo di Bibe. Lui aveva costruito il capanno [vicino al Poggione] perché lavorava alla macchia e una mattina sì ed una no ci portava le notizie. Siccome lui tagliava gli alberi, il capanno era un pretesto, lui fungeva da staffetta, era un omino bravo, una persona sicura e il suo capanno un punto di riferimento. Come distaccamento, il pane lo prendevamo a Massa e lui ce lo portava una volta la settimana. Le altre cose ce le procuravamo noi, il pane lo portava lui.
S’arrivò al capanno, era tardi, e il babbo di Bibe non c’era. Studia, studia, studia……
Che si fa? Si va a Massa! In marcia. S’arriva verso le dieci la sera e forse anche più tardi.

A quell’epoca su alle Monacelle c’erano soltanto le scuole, che avevano un solo piano. Uno di noi aveva casa dove ora c’è il negozio di vernici e si fermò lì. La scalinata delle Monacelle non esisteva, c’era semplicemente uno stradello, tutt’intorno solo campi coltivati ad ulivi. Si passò quindi da sopra e si scese giù per lo stradello, facendo attenzione ai fascisti che a quell’ora erano di ronda. Per fare meno rumore ci si toglie le scarpe. La meta era la nostra casa che era sopra l’officina di Otto. Ad un certo punto si sentì chiacchierare: era la moglie di Patacca, un fascista, ma la porta di cucina era chiusa, solo l’ingresso principale era aperto: noi, scalzi, si entrò in camera.
Si corse quel rischio perché eravamo rimasti senza collegamenti.

Il mio compagno disse: “ Io vado a Piombino ” e partì. Io pensai: “ A Piombino non ci vo davvero ”.  Avevo i capelli lunghi e i miei contattarono una donna che faceva i riccioli in casa. Venne e mi tagliò i capelli.
Dopo una settimana morivo a stare in casa, allora contattai il babbo di Bibe; così una sera mi portarono una bicicletta in fondo alle scale di casa – io abitavo all’ultimo piano – e mi diressi alla Spina [8], dove abitava mio cugino che poi è stato fucilato insieme a Norma Parenti [9], poveretto!
Alla Spina ci stavano tre famiglie: mio cugino, il babbo di Licia e un Molendi. Decido di restare lì la notte. Alla mattina i miei avvertirono Ferrino, il babbo di Bibe, quello della cicca, e passò a prendermi verso le quattro e mezzo del mattino. Chiesi a mio cugino di venire via con me, ma siccome aveva due bimbi piccoli ed era del 1914, ritenne opportuno di non venire. Così ritrovai il collegamento con tutti gli altri. Fui portato ad un grosso leccio, che era come una posta per i partigiani. Lì erano state alzate due tende e un pagliericcio tenuto alto con dei rami robusti per stare sollevati da terra, una specie di rete di letto, e lì si dormiva tre da una parte e tre dall’altra. S’era in sei.

Quelli che erano scappati dalla tana ebbero fortuna. Cosa fecero? Andarono verso Frosini. Prima di Frosini c’era un appezzamento di castagni di proprietà del Radi di Mucini, un castagneto tenuto bene. I Radi in famiglia erano una trentina, si può dire che non si conoscessero tra loro. Quando c’era la castagnatura una decina di loro si spostava lì e sistemavano i castagni. I miei compagni aprirono, entrarono dentro la carbonaia e trovarono da mangiare, da bere e …. i letti con materassi fatti di piuma di papero! Ci stettero una settimana intera, la chiamarono l’isola di Bengodi!
Ormai questi compagni sono morti tutti, solo Bibe è ancora vivo e lui potrebbe raccontare: dice che affondavano nelle piume, che trovarono anche il vino…
Senonché bisognava che ritornassero quaggiù, dove noi l’avremmo ritrovati, al punto di raccolta dei partigiani. Ci si ricongiunse lì, dove c’era un’altra tenda di due metri quadri, adatta per tre persone.
L’avevano fatta Viazzo, Marco e Bartolo. Da lì bisognava andare al Caglio per presentarsi al capoccia [il maggiore Mario Chirici] a sentire le cose . Lui stava nei pressi del Caglio, nella zona di Casalappi in provincia di Livorno.

Facciamo un passo indietro. Parliamo del rastrellamento del Frassine.
Da Massa io e Renzo si voleva portare al Frassine una grossa marmitta.
L’avevo presa allo sfasciamento dell’esercito alle Monacelle. Siccome avevo le galline, ci tenevo il mangime, la semola. Quando decisi di darmi alla macchia si prese in groppa la marmitta e si portò a Cipòlleri. Lì si prese contatto con il babbo di Elvezio Cerboni, quello che fu ucciso a Pisa. Eravamo verso la fine di gennaio [1944], difatti, quando si tornò indietro cominciò a nevischià. Nel tornare s’incontrò l’uomo che aveva ammazzato cinque persone, un certo Baldo, una famiglia intera.
Dicevano che avesse una scheggia nel cervello, girava armato come tutti gli altri. S’incrociò questo pezzo di mascalzone. Era freddo ed io avevo una sciarpa che mi ero legato alla vita. Lui la notò e mi disse: “ Cos’è un segno di riconoscimento ? ”,  “No, no, me la sono solo levata ”, dico io.  Si procedeva insieme. Quando si arrivò vicino al Cicalino lui, birbante, disse: “ Beh, io mi fermo perché ho messo qualche tagliola da controllare ”. Invece si fermava dal Vecchioni a fare la spia.

Nel frattempo lavoravo ancora, ero ausiliare alla Montecatini, però a volte andavo e a volte non andavo, era un casino, insomma, ti multavano, non ti multavano, oppure eri malato o volevi fare il malato, fatto sta che quando fu deciso il giorno, diciamo a Gisberto, il babbo di Elvezio, che faceva il muratore: “ Andiamo ragazzi, si va ”. Si parte per andare a Cipòlleri. Si lega la marmitta, che era molto pesante,  di quelle che vanno nel fuoco. Immagina arrampicarsi su per le Stallette, Vascugnano … ma ci potevi fare da mangiare per tutti.
Si portava in due sulle spalle con un legno infilato. Si arrivò quasi a buio, era di febbraio. Il 14 si ebbe il rastrellamento al Frassine dove ammazzarono quei cinque al Campo a Bizzi.
Noi eravamo nei capanni, non fummo coinvolti, ma si sentiva sparare.
Porca miseria se sentivi! Il capo ci aveva detto: “ Tutti al Campo a Bizzi ”,  ma per noi ci fu un contrordine. Gli altri li presero a Poggio al Rocchino, dove Guido Mario fu ferito.

 

Note.

[1] La collina dietro Poggio Romitorio.

[2] Il gruppo partigiano Zazzeri che faceva parte della formazione guidata da Mario Chirici.

[3] Si riferisce alla strage compiuta dai nazi-fascisti degli operai della miniera di Niccioleta il 13-14 giugno 1944.

[4] Tra il bivio di Niccioleta e Santa Costanza.

[5] Si tratta probabilmente del castello delle Rocchette dove gli archeologi fanno le campagne di scavo.

[6] Alla tana.

[7] Uno che segue la corrente, che non si oppone.

[8] Fonte della Madonna della Spina.

[9] Norma Parenti, staffetta partigiana, medaglia d’oro della Resistenza. Al podere Botrelli una lapide ricorda l’eccidio.