1946: commemorazione del comandante Chirici in ricordo dei martiri di Campo al Bizzi

Campo al Bizzi 17/ Febbraio /1946

Amici, Cittadini

non è la prima volta nella mia vita che accetto di fare una Commemorazione, benché sia una missione troppo crudele.
Vi parlerò come il cuore mi detta;…..ma come ordinare nella mente l’ondata di commozione, di ricordi, nostalgie, di sentimenti?
Come frenare il pianto dell’anima e trasformarlo in parole vane?
Questa mattina salendo l’erta che ci ha condotti quassù, come tante volte mi è stato mestiere scalarla di giorno e di notte in altri tempi e con altre preoccupazioni, ho sentito in me una commozione ed un sentimento nuovi.
Durante il cammino, il mio pensiero rifaceva a ritroso questa via, e quale mai ondata di ricordi, di memorie non si affollavano alla mia mente?
Se la genesi della nostra banda si ebbe nel massetano, sotto il primario impulso del caro amico scomparso Cerboni Elvezio. Qui in questa limitata zona, ebbe vita la 3a Brigata Garibaldi, qui in pochi, molto pochi invero, misconosciuti, incompresi, vilipesi, ci raccogliemmo, ci unimmo e vivemmo alcun tempo, nella intensa preparazione spirituale e materiale.
Qui nella nascente Brigata si forgiarono i primi combattimenti della Libertà, i primi caratteri, qui i primi sintomi di una disciplina degli spiriti affiorò su buona parte degli uomini, malgrado che la quasi totalità, sia pure non per loro colpa, risentì spesso della falsa educazione fascista e del ventennio di esaltazione frenetica del coraggio.  Qui, si costituirono le prime cellule di un nascente organismo, volitivo e pugnace, circondati dall’affetto, dalla ammirazione degli umili e generosi abitanti di questa zona.
Uomini e donne, vecchi e fanciulli, operai e contadini, benestanti ed impiegati, in una gara di emulazione reciproca, portarono a noi quanto di più e di meglio poterono dare materialmente, con la loro incondizionata solidarietà senza riserve e senza secondi fini, e con il loro generoso amore.
Oltre a ciò gli uomini portarono a noi la loro franca ed incoraggiante parola, le donne il loro puro confortante sorriso. Noi soprattutto sentiamo beneficio e ristoratore, l’affetto delle donne, che mite come un sacro patto, cercarono con materna cura di alleviare i nostri disagi le nostre sofferenze, e nel giorno del sacrificio, composero pietosamente e fraternamente i corpi cari dei compagni caduti.

 

Noi, i convenuti,  giovani ed anziani, piccolo gruppo sparuto, male in arnese strinti in un vincolo di indissolubile solidarietà e di spontanea dedizione di noi stessi alla causa santa della libertà del popolo Italiano, apprezzammo tutta la bellezza, tutto l’ardore che animava queste fragili creature ed in cuore nostro furono mille volte benedette.
Bene o male che abbiamo fatto, poco o molto che si sia riusciti a tradurre in atto, abbiamo la coscienza tranquilla di avere dato tutto quanto era in noi, con disinteressata generosità e soprattutto con onestà di intenti.
Sì,  mi piace ricordare, perché fa bene tenerlo presente anche se agli eroi della sesta giornata, ed a coloro che furono partigiani all’ultima ora, potrà dispiacere, è bene ricordare, dicevo, come qui nel massetano, prima che in altre parti delle provincie di Grosseto e Livorno, ebbe vita il fenomeno grandioso del partigianato, che nella storia del nostro paese ha avuto ed ha una impressione immensa.  Grandioso fenomeno di ribellione collettiva contro il regime più oppressivo del mondo e contro uno degli eserciti più agguerriti del mondo.
Sì, è bene ricordare agli immemori che eccettuata la Russia e la Jugoslavia, in nessun paese occupato si è verificato un fenomeno di ribellione di tale ampiezza.

 

Ma è ben ricordare, che la Russia aveva i mezzi morali e materiali per aiutare i suoi combattenti irregolari al di là delle linee e spesso i nuclei dei ribelli si stringevano attorno ai fratelli d’arme paracadutati, od a formazioni di reparti rimasti deliberatamente in territorio nemico.
La Russia aveva i mezzi morali e materiali per aiutare anche i ribelli dell’esercito di Tito, ed in forma veramente larga.
Da noi in Italia nulla fu tentato, o molto poco, ma in compenso, anche una buona percentuale di coloro che dopo la Liberazione del territorio si sentirono finalmente antifascisti, ci definivano briganti, ladri, bighelloni. E pensare che il nostro brigantaggio consiste( almeno per quanto riguarda la nostra Brigata) in una forse eccessiva generosità, che però guardate o amici è sempre dote degli animi forti.  Ci chiamarono ladri, e tolto  qualche sporadico fatto, non rubammo mai neppure un pane.
Ci dissero bighelloni, perché non andavamo ad aiutare gli invasori a distruggere ed a smantellare le nostre officine, ma essi non sanno, o non vogliono sapere che noi lavorammo notte e giorno, senza adeguati attrezzi, né adeguato materiale, né adeguato nutrimento. E, che non lavorammo per noi, o per lo meno, non per noi soli, ma per tutti gli italiani degni di questo nome, ed anche purtroppo per coloro che ebbero il coraggio di imbracciare un moschetto, ma ebbero a loro vantaggio la flessibile schiena che si piegò sul lavoro in aiuto ai predatori paesani e stranieri.
Ed oggi si vorrebbero erigere a giudici del nostro operato, e sono i primi, quelli che più strillano contro le deficienze del momento, contro la disoccupazione, contro i mal ridotti servizi. Ma signori censori, se aveste imbracciato come noi un moschetto, se come noi aveste preferito il rischio alla comoda aspettativa, se come noi aveste disprezzato il guadagno elargito da mani che grondavano sangue nostro, sangue del popolo Italiano, oggi forse il nostro disastro nazionale non sarebbe così spaventoso come lo è in effetti.

 

Sì, o amici, è bene ricordare come qui ebbe vita la lotta partigiana sempre contrastata, tra l’apatia e l’indifferenza dei più, tra la commiserazione dei ben pensanti, alcuni, forse troppi dettero il nuovo verbo nelle riunioni dei partiti politici o di cellula, e più gridano e più si gonfiano per farsi venire rosso anche i bargelli, nel vano sforzo di nascondere il nero di ieri.
Sì è bene ricordare come la prima spietata reazione si accanì proprio nel massetano contro di noi, e come dovemmo lottare contro la delazione ed il tradimento. Lungo sarebbe o amici, ricordare le vicende della nostra silenziosa lotta, e quando parlo di lotta intendo sorvolare sulle azioni contro le caserme( che pur ebbero il loro peso) perché audacemente progettate ed attuate. Non delle infinite azioni di pattuglia e di sabotaggio che in nove mesi di bosco dettero i suoi non disprezzabili frutti e che furono maggiormente sviluppate nel trimestre Aprile-Giugno 1944, che se non altro ebbero lo scopo di disorientare l’avversario, immobilizzandogli forze considerevoli  e tenendolo in un continuo stato di allarme.
Non dei prigionieri catturati, non dell’opera di defezione profonda portata nell’esercito repubblichino. Non la cattura di 132 militari della caserma di S. Vincenzo, non la distruzione di automezzi, linee telefoniche, telegrafiche e ponti. Non la vostra mole della propaganda clandestina attuata e sviluppata con scarsissimi mezzi nostri, con forze nostre, alternandole giorno e notte per tre mesi consecutivi all’azione militare più propriamente detta.
Questo lavoro di per sé stesso sarebbe molto, ma coloro i quali attendevano nelle proprie case il momento opportuno, guardate amici che questi erano molti, hanno saputo dirci:- Ma si al bosco si stava male, ma si era più sicuri-. Nò, o amici nò,  bisogna sfatarla questa leggenda della sicurità del bosco e dite loro che il bosco nasconde sì, ma solo chi fa la talpa e vive rintanato, poiché quei signori che così vanno ripetendo, nel loro gretto animo pensano di mimetizzare l’opera nostra e nascondere, oscurare con questa frase il loro conigliesco atteggiamento.

 

Il bosco, sì poteva rendere più sicuro in certo qual modo la convinzione di una formazione, ma quei signori dimenticano che il partigiano doveva muoversi, sia per ragioni di vita, sia per ragioni di tattiche. E’ per questo che io ho sempre considerato azione bellica anche il prelevamento viveri, in quanto ponendosi in movimento una squadra, un nucleo, una sezione, si esponeva all’occhio dell’avversario ed alle sue rappresaglie.
Ma per  rendere glorioso un reparto basterebbero, sia pur nel suo disgraziato epilogo, che ci fu imposto dalle circostanze, l’ eccidio di Campo al Bizzi, che oggi qui convenuti commemoriamo, e che ebbe eco dolorosa e destò in tutta la zona un’ondata di raccapriccio e di indignazione.
Basterebbero i combattenti e le azioni di Monteverdi, condotte a termine dal compianto Ten. Lido.
L’azione di Campiglia, roccaforte del fascismo sfollato da Piombino, condotta dal Ten. Mario.
L’azione di Valpiana condotta dal Ten. Enzo.

 

L’azione intelligentemente preparata e studiata e poi portata a termine, con la cattura della guarnigione repubblichina di Suvereto, e le azioni di Bolgheri di Donoratico, di S. Lorenzo di Vignale Riotorto, di Montioni ove ciascuna di queste azioni, fu consacrata dal sangue generoso della gioventù Italiana; fino al conflitto non cercato ma accettato  con vero spirito garibaldino a Monterotondo M/mo e lo accettammo pur sapendo la nostra inferiorità, e amici cari la guerra, e delle volte le sue imprescindibili esigenze  alle quali non ci si può sottrarre che con il disonore. Sì accettai il combattimento pur sapendo di essere inferiori in tutto meno che nella volontà di lotta, e facemmo del nostro meglio tanto da imporsi all’ammirazione dello stesso avversario, e se le nostre perdite furono dolorose, egli ne subì tre volte tanto ed ebbe contrastato  il passo per ben cinque ore.
Le azioni di Pian di Mucini, Montearsenti, Pod. Sughericcio, Bruscoline ove fu contrastato efficacemente il passo alle truppe tedesche in ritirata, ed in ultimo l’accorta guardinga, intelligente manovra per salvare la città di Massa dalla decretata distruzione, malgrado che fosse già compromessa dalla dabbenaggine e dalle smargiassate che nulla avevano di partigiano da elementi irresponsabili i quali scambiavano per azioni di guerra il saccheggio e le ruberie.

 

Mi sarebbe piaciuto commemorare gli amici e i fratelli caduti non oggi, in cui l’Italia per la quale sono caduti e per la quale noi lottammo, non essendo questa l’Italia che essi sognarono cadendo, né quella che noi sognavamo.
Poiché la liberazione dal giogo nazifascista non ha portato quella chiarificazione politica e sociale che era logico sperare.
Ma per una sequela di errori siamo ancora una volta giunti agli atti di sabotaggio perpetrati da bande neo fasciste come nel territorio di Genova, alle gesta criminose dei marinai del  Battaglione S. Marco a Barletta e a Firenze, alle violenze di Puglia ed alla cagnara di Napoli contro uno dei più autentici combattenti della lotta di liberazione, Ferruccio  Parri.
Un vento di reazione soffia dal sud ed investe tutta quanta l’Italia centrale e settentrionale.
Gruppi del movimento unitario nazionalista – Squadre di Azione Mussolini – Gruppi di azione Monarchica, hanno potuto costituirsi a Roma, Torino, Milano, Como, Vicenza allo scopo di restaurare il fascismo sotto l’egida di Casa Savoia, hanno potuto raccogliere fondi ed iniziare una campagna di stampa clandestina diretta contro la nascente democrazia.

 

Donde i mezzi? E’ forse con il bottino di qualche aggressione che si possono alimentare simili iniziative, comprare gente disposta a rischiare la pelle, organizzare una stampa clandestina, fornire macchine ed armi a questi gruppi operanti in collegamento? Certamente no!
E’ come lo sporco denaro arraffato nelle casse dello stato con il fascismo, con le sue imprese nazionalistiche, con le guerre dopo la guerra; è il tesoro depredato al popolo Italiano e mai confiscato, dai governi dell’esarchia, che alimenta le infami congreghe, per assicurare a chi possiede l’impunità nel privilegio.
Non oggi avrei voluto commemorarli questi nostri morti non in questa atmosfera reazionaria, ed all’ombra della deprecata luogotenenza, non in questo riaffiorare di passioni insane, di ambizioni insoddisfatte, non in questo marasma creato a bella posta dagli omucoli arrancati prelude a posti, onori ed interessi dimentichi il sacrificio di coloro che tutto donarono con generoso gesto, perché questa nostra Italia potesse finalmente risorgere a nuova vita, in un regime di libertà politica e di prosperità economica.
Non oggi avrei voluto commemorare i nostri morti perché ancora una volta si stà tradendo il popolo Italiano per il quale essi si sono sacrificati.
Il mio desiderio sarebbe stato quello di venire qui un giorno per inginocchiarmi su questa terra bagnata dal loro sangue generoso e baciare queste zolle finalmente veramente libere da ogni servitù, e su questo colle erigere uno stele svettante nel libero cielo, quale faro alle libere genti, a ricordo perenne dei contemporanei ed insegnamento alle generazioni avvenire.
Faro che ricordasse agli immemori, ai troppi facili critici ai sapientoni del senno di poi, che i partigiani hanno salvato l’onore di un popolo, riscattando colpe non loro, e mostrando al mondo il vero volto del nostro paese, e ridandogli dignità nel consorzio delle genti civili.
Faro d’insegnamento alle generazioni avvenire, poiché ogni goccia di sangue che i figli d’Italia, partigiani e soldati, operai delle miniere e dei campi degli opifici e del pensiero hanno generosamente versato è stato versato per la libertà e la redenzione di un popolo e non per una casta, non per una setta, non per un partito.

 

Perché le generazioni avvenire, sia sempre di monito la massa di sacrifici di lutti e di sangue che viene imposta ad un popolo se non sa tutelare le proprie libertà, e  quali e quante distruzioni, lacrime e lutti costi la sua riconquista.
I morti oggi non sono con noi, eppure sentiamo di non potere riprendere il cammino se non partendo dal ricordo di loro e soprattutto dalla convinzione che Essi pagarono errori e colpe che appartengono all’umanità tutta. Smobilitiamo la retorica ed ogni forma di romanticismo celebrativo, ma non dimentichiamoci, per carità degli errori, delle nostre colpe dirette ed indirette che affiorano nel ricordo con i volti dei tanti nostri amici caduti.
Il 15 Febbraio del 1944, una mano caina conduceva nell’ombra della notte gli assassini, che ebbri di odio e di sangue si avventarono come lupi famelici sul piccolo nucleo di Campo al Bizzi all’alba del 16.
Resisterono i prodi, ma sorpresa e la superiorità numerica e di armamento ebbero ragione del loro valore, della loro tenacia, del loro eroismo.
I fratelli degeneri, comandati e guidati da una belva in sembianza umana, non ebbero pietà neppure dei feriti e con odio sadico quali novelli maramaldo infierirono sui miseri, straziandoli nel corpo, spogliandoli derubandoli.

 

Gattoli, Meoni, Fidanzi, Benedici, Mancuso, i vostri spiriti aleggiano sulle nostre teste, ed intravedo sui vostri spettrali volti il disappunto.
Sì lo so: Voi Eroi, Voi Martiri, non attendevate dagli uomini la vendetta, nò! I vostri generosi cuori rifuggono dall’odio e dai bassi pensieri di vendetta, ma per il vostro sacrificio, per il pianto dei vostri cari, per le lacrime delle dolci spose e dei teneri figli, avete ragione di attendere giustizia, e so che quel vostro disappunto, quel vostro cruccio, non potrà placarsi fintanto che  la giustizia sia compiuta per intero, fintanto che i primi e maggiori responsabili dei lutti della Patria, presidieranno a capo dello stato, in quel covo d’intrighi e di corruzione che è il Quirinale.
Gli uomini che ci avevano promesso giustizia e che vi hanno fermato la mano abbassantesi nell’atto riparatore, troppo presto si sono dimenticati di Voi, si sono dimenticati di noi. Non va escluso il nesso fra l’intensificarsi del banditismo fascista, le manovre di destra e le compiacenze reazionarie di qualcuno che si è detto e si dice democratico e antifascista.
Ma coloro che dovevano darci giustizia, sono troppo affaccendati nelle manovre tattiche e nei compromessi più ibridi, e dopo tanto sangue, si parla ancora di guerra civile.

 

Cosa si vuole ? La guerra civile? Noi è tempo che andiamo dicendo, come alle origini della guerra civile minacciata dai monarchici, sta la negata giustizia, la mancata epurazione, la mancata applicazione del decreto contro i traditori fascisti e collaboratori dei tedeschi, la mancata confisca degli enormi profitti di regime e di guerra che dopo avere denudato il paese ora servono a finanziare la ricostruzione del neofascismo monarchico, che indisturbato assolda nella malavita della stampa e della strada schiere di provocatori che impunemente  irridono al vostro sacrificio, alla vostra generosità.
Gli uomini tanto facilmente affratellati durante il periodo clandestino non appena sciolti gli impacci e nonostante gli innumerevoli problemi che urgeva risolvere insieme, perché riguadagnavano la vita immediata, le fondamenta, l’esistenza, la salute delle generazioni future, eccoli dividersi in gruppi e gruppetti ed accanirsi gli uni contro gli altri, mentre sulla stampa gridano in tutti i toni le necessità dell’unità di tutte le forze.
E’ con vera nostalgia e vero rimpianto che riporto la mente ai tempi in cui eravamo veramente uniti nella vita, nei comuni rischi, in comuni privazioni, ma in piena fraternità di spiriti, unità di intenti e di opere che animavano ciascuno e tutti senza distinzione.
Ricordate oh amici? Allora ci volevamo veramente bene.
Ricordo come all’annunzio della disgrazia che veniva a colpire un amico nostro con la perdita in un incidente  di entrambi i genitori, fosse accolta come dolore proprio di tutti e per due sere, senza un ordine, senza scambio alcuno di idee , il campo parve deserto silenzioso e triste, ed il dolore del caro amico fu il dolore di tutti.

 

Quella era veramente la vera e sentita unione, la vera solidarietà, aimè durata troppo poco per la incostanza che gli uomini pongono nelle opere buone.
Vorrei qui davanti a voi parlare di ciascuno e di tutti i nostri morti, ma troppo lungo sarebbe il mio dire! Vorrei portare alla vostra mente la figura esile dal viso di fanciullo semplice e buono, calmo e sereno Pio Fidanzi.
La asciutta figura un poco dinoccolata dell’allegro Benedici, sempre in vena di canore esibizioni.
Il servizievole Mancuso che in se racchiudeva la bontà del popolano meridionale e l’ardore della terra di Sicilia.
Ma cosa possiamo dire di più e di meglio se non che tutti giovani usciti da una generazione travagliata, tutti nati e cresciuti sotto l’indegna littoria, e che nella caduta del fascismo sentirono istintivamente aprirsi l’animo avanti ad una nuova era di libertà e di giustizia che essi mai avevano conosciuta.
Nessuno di costoro poteva allora definirsi di questo o quel partito, erano cresciuti sotto il peso della dittatura mussoliniana che tutte le menti e tutti gli spiriti aveva tentato di livellare nella mistica fascista, ed avevano sentito nel loro petto il cuore dilatarsi, ingrandire, sublimarsi, al primo soffio di un’aria di libertà.

 

Erano accorsi al bosco non perché avevano questa o quella idea da difendere, ma per quel senso di ribellione che è proprio dei giovani, e si fecero ribelli, si fecero partigiani, forse senza neppure comprendere la portata ed il significato del loro gesto, ma con spontanea generosità, e nella breve vita di bosco, a fianco dei più anziani, avevano incominciato a discutere a pensare, ma troppo breve fu il tempo perché potessero crearsi una coscienza politica e potessero definirsi.  Ed appunto perché il loro movimento fu spontaneo nessun partito può vantarne la paternità, anche se nel corso degli eventi alcuni di quei partiti si distinsero più degli altri nell’opera organizzativa e di assistenza ai combattenti della libertà.
Tutti i movimenti politici ebbero la loro parte, i loro morti ed i loro sacrificati.
Oggi i morti che uscirono dal popolo , sono del popolo ed al popolo ritornano.

 

Il taciturno Meoni è pressappoco della stessa generazione e di questa ne incarna i pregi ed i difetti. Caduto il fascismo, si gettò nella lotta forse non con chiare idee, ma deciso nella   lotta, e con Otello Gattoli fu l’animatore della sfortunata resistenza di Campo ai Bizzi, egli fu l’eroe della giornata.
Gattoli Otello, amico carissimo, per parlare di te è necessario che io non pensi a te. Bisogna che dimentichi i pensieri che mi confidaste, l’amicizia e l’affetto che aveste a dimostrarmi.
Bisogna che dimentichi le ansie e le speranze risposte nei brevi istanti nei quali ci fu concesso scambiarci i nostri pensieri. Bisogna che anche dimentichi le tristezze, le delusioni, le amarezze che mi confidasti di uomini e di cose. Per parlare di lui bisogna che io confonda il serio dramma personale nel serio dramma della nostra generazione. Allora sì che posso interpretarlo e capirlo, perché la sua vita è un po’ la nostra vita, perché i suoi sogni sono i sogni che abbiamo tutti più o meno sognato, perché le sue sofferenze sono le sofferenze che abbiamo sofferte. Otello Gattoli  è per noi  giovane ed anziano nello stesso tempo. Giovanissimo soffre il primo travaglio del dopo guerra, ma esce da un insegnamento familiare semplice e sano che gli ha forgiato l’animo nel sogno redentore della libertà, mentre fuori imperversa il tragico carnevale fascista. In casa può attingere ai pochi sani libri del padre, le idee ed i principi del vivere civile, e nel suo generoso animo si fa strada il desiderio vivificatore della redenzione delle genti, e pur costretto a vivere nel clima dei tempi egli si chiude in sé e medita e pensa alle sorti del suo paese, preparando l’animo alla battaglia. A 15 anni fa parte di un gruppo di giovani massetani, i quali progettano un colpo di mano al carcere mandamentale di Massa per liberare me. Allora comandante delle Avanguardie repubblicane, in stato di detenzione. Essendo stati dissuasi, egli sì fu ardito e conferisce in compagnia di altri con le autorità e riesce ad ottenere nei miei riguardi la scarcerazione provvisoria.
Al mio ritorno dal confino, fa di tutto per essere dello sparuto gruppo che ogni sera ci univamo in una piccola ospitale retrobottega di un caffè massetano per parlare liberamente, anzi  senza che noi ce ne accorgessimo egli entrava silenziosamente ed appartato in un angolo ascoltava le nostra conversazioni ed in breve vi partecipò con una discreta dose di preparazione che lo rendeva simpatico e caro a tutti noi. Eravamo nel periodo degli attentati a Mussolini ( molti amici cospiratori sotto varie vesti venivano dalle città del Nord e da Parigi per prendere contatti, ragione per cui dovevamo cambiare ogni sera locale per distogliere le attenzioni dei seguaci fascisti). Otello prese la cosa come diffidenza verso  di lui ed una sera mi avvicinò e con fare sbarazzino e pensoso mi disse. – Signor Mario, può continuare come vuole a riunirsi, io non verrò più, capisco che lei non si fida di me -. Il bravo ragazzo dal modo e dall’intonazione della voce tanto accorata, mi fece comprendere di  essersene offeso. Ricordo che gli presi il viso tra le mani dicendogli : – Otello tu sei un bravo ragazzo non devi offenderti, ma comprendi nei tempi quali viviamo, vieni pure ma ricordati di ascoltare solo per te-. Come descrivere il lampo di gioia che gli brillò negli occhi! Ed egli ascoltò sempre per sé. Feci stampare alla macchia piccoli volantini e fotografie di Matteotti e li feci divulgare nelle campagne e paesi, egli con il vecchio ed infortunato Antimi furono i più attivi, mettendo a soqquadro tutto il fascistume locale, che si dette daffare per dieci senza venire però a capo di nulla e contentandosi di farmi una ennesima perquisizione infruttuosa.

Gli eventi ci distaccarono,  ma quale non fu la mia gioia quando tra i primi massetani incontrai al mio giungere al bosco il caro Otello. A conoscenza del mio arrivo nella zona di Massa venne a nome del C.L . a Portarmi l’ordine di assumere il comando della banda del massetano, e volle accompagnarmi fino all’Uccegliera. Strada facendo si scambiano, ricordi impressioni e propositi, ed ebbi il piacere di ritrovarlo più preparato, più sicuro, più piantato, l’unica lesena che trovai in lui ( ed è comprensibile), non si era ancora definito, egli lottava ancora tra il pensiero anarchico, la concezione social comunista, l’idealità repubblicana.
Servì la causa con passione e dedizione, fu al collegamento ed informazione, ma segnalato alla polizia fascista dal degenerato Lesse, ricercato, perseguitato, inseguito, venne alla formazione, e qui portò la sua esperienza ed il suo ardore,  e nel momento del sacrificio seppe essere di esempio e di incitamento e cadde solo come gli eletti eroi della Patria, cadono.

 

Amici Cittadini,
Nel commemorare oggi così i nostri cinque fratelli caduti, intendiamo commemorare tutti i caduti per la libertà, ma non dimentichiamo, che dietro l’aureola del martirio, ghigna ancora il giuda che li tradì.
Ricordiamoci che in questa povera Italia nostra, abbandonata nell’ora più terribile della sua storia, ignominiosamente dalla monarchia fuggiasca alle vendette naziste e fasciste, offrì spontanea agli, invasori tedeschi una immonda legione di spie, che per avidità di guadagno e di personali vendette corsero a braccare fratricidi banditori, carne italiana per la belva nazi fascista.
Questa lebbra ha corroso assai in profondità e per salvare la parte sana degli italiani occorre bruciare a fondo con mano inesorabile.
Ma potremo fare tutto ciò noi impastoiati ed imbrigliati in una politica di compromesso? Bisogna che ci siano uomini di grande energia e di provata volontà, consumata nella cospirazione e nella battaglia, degli uomini che abbiano i nervi di acciaio per fare di questo paese dallo stato in cui si trova, per fare di questo popolo che è stato ridotto ad una mandria di schiavi, in un popolo civile.
Siamo un popolo senza amici, li abbiamo solo nelle moltitudini anime popolari, li abbiamo negli emigranti che sono andati a fare concorrenza ai negri nei mestieri più umili. C’è tutta una reputazione storica e civile del nostro paese da rivendicare.
Bisogna rifarsi alle tradizioni migliori del nostro paese.
Io sono un mazziniano, qualcuno mi  dice che noi siamo uomini sorpassati, uomini da museo, ma io penso, che ci deve essere una continuità storica fra l’Italia repubblicana dei comuni e del risorgimento e l’Italia repubblicana di domani.

 

Come volete che nasca questa repubblica?
Dalla disperazione, dalla fame, dalla sconfitta e dalla occupazione straniera?
Deve nascere dalla volontà del paese dalle riserve stesse del nostro popolo. L’idea mazziniana può costituire un addentellato storico fra l’Italia di ieri e l’Italia di domani. Non ci saranno soluzioni di continuità, se non siamo veramente ridotti allo stato di bruti, non possiamo chiudere il sipario sulla tragedia che ha travagliato più generazioni, e dire”chi le ha prese, le ha prese” e conservare gli uomini e gli istituti che ci hanno condotto alla catastrofe, ma non bisogna essere impulsivi, non dei rivoltosi istintivi.
Lenin stesso, ha detto che c’è una malattia nel comunismo ed è l’infantilismo, ma noi ci auguriamo che i compagni comunisti italiani l’abbiano superata questa malattia che ci portò agli errori del 1919.
Se nel nome dei nostri morti si deve continuare la lotta intrapresa, bisogna essere chiari, non si può ottenere l’unità delle forze antifasciste nella confusione, non si devono confondere le forze repubblicane alle monarchiche.
Le forze monarchiche e reazionarie devono essere da una parte ed i partiti sinceramente repubblicani dall’altra.
Allora tra amici, le posizioni saranno definitivamente chiarite; allora sapremo chi camminerà al nostro fianco, allora troveremo le nostre mete.
Bisogna costruire una repubblica organizzata  sulle autonomie e nella libertà. Oh!  Se ci fosse qui tra noi l’amico Gattoli, ne abbiamo discusso tante volte nei brevi sprazzi di tempo, ed allora potevano sembrare utopie, ma quelle che  erano le utopie di ieri devono essere le certezze di domani.
Noi che siamo rimasti al nostro posto di battaglia e che viviamo umili tra gli umili la vita del popolo, risolleveremo questo paese dalle onte e dalle disfatte. E per rimetterci dalle nostre avventure  non abbiamo bisogno di machiavellismi, e di euforismi, ma di verità.
Se è vero che l’immortalità dell’anima degli eroi e dei martiri ha un senso, i caduti di Campo al Bizzi saranno con noi il giorno in cui intoneremo l’excelsior della repubblica vittoriosa e solo allora avremo il dovere di commemorare degnamente i nostri caduti.

 

Discorso letto dal Sig. Maggiore Mario CHIRICI
Comandante della IIIª Brigata Garibaldi
(Camicia Rossa).

 

[Trascrizione letterale a cura di Rossana Lombardi – ANPI Montieri per www.radiomaremmarossa.it]