Etrusco Benci

Nasce a Grosseto il venticinque giugno 1905 e suo padre, Giuseppe Carlo, è il direttore del settimanale repubblicano “Etruria nuova”; suo fratello, Piero, è uno degli esponenti della gioventù del P.R.I.: interventista democratico e volontario nella prima guerra mondiale, cade a Fagaré nel novembre del ’17, combattendo contro gli austriaci. Etrusco ha soltanto sedici anni, quando gli “schiavisti” assalgono Grosseto nel tremendo giugno del ’21. La violenza degli squadristi fiorentini capeggiati da Dino Castellani e quella dei benestanti e degli studenti senesi ( fra loro un gruppo di laureati e laureandi in medicina, scesi in Maremma non per assistere i malati, ma per seminare il terrore: Carlo Agostinelli, Manlio Mancini, Eugenio Sclavo, Serafino D’Antona, Umberto Levi, Leone Ciullini, Angelo Giardi, Giovanni Tramontano, Luigi Pierucci, Luigi Marocco, Arrigo Menci, Piero Marri, Guido Pagnini, Remigio Rugani, ecc.), guidati da Giorgio Alberto Chiurco e aiutati dai fascisti di Montepulciano, di Scarlino ( fra questi ultimi: Solimeno Petri, Ciro Francioni, Ennio Barberini…) e di Montepescali, si abbatte su uomini e donne inermi.

I seguaci di Mussolini danneggiano o distruggono il Circolo dei ferrovieri, il Caffè Greco, la sede della Camera del lavoro, la tipografia dove, il ventisei giugno, si è stampato l’ultimo numero del “Risveglio” socialista, gli studi e le abitazioni degli avvocati Francesco Saracinelli e Umberto Grilli, di Primo Lessi e Curzio Cipriani e la calzoleria Cutini, feriscono Amos e Giuseppe Meacci, Mario Formichi, Angelo Mecherini e Armida Di Betto e uccidono Arcadio Diani, Giovanni Neri e Angelo Francini. Sono fatti e immagini, che resteranno scolpite nella memoria del giovane Benci, che ha il primo scontro diretto con i “nerocamiciati” il quattro novembre del ’21. Quel giorno, anche a Grosseto, si commemora ufficialmente la vittoria sull’Austria e la cerimonia è monopolio dei fascisti, mentre i repubblicani, dopo aver rifiutato di parteciparvi, si riservano di rendere omaggio ai caduti nel pomeriggio, collocando sull’obelisco una corona a ricordo di tante vite spezzate. L’iniziativa è ritenuta provocatoria dagli “schiavisti”, che si recano in forze in piazza Mensini per impedirla.

La tensione sale immediatamente e la forza pubblica – invece di tutelare il buon diritto dei repubblicani (quelli accorsi in piazza sono una cinquantina) – propone che soltanto due di loro, i giovanissimi Etrusco Benci e Ermanno Barth, vadano con i fiori in braccio fino alla stele, ma, appena i due si muovono, gli squadristi piombano su di loro e nella piazza si scatena il finimondo. Nel corso della colluttazione i fascisti Athos Stoppa e Giacomo Moretti e il repubblicano Mario Monaldi esplodono vari colpi di arma da fuoco, Cafiero Bianciardi e Giovanni Tognetti vengono feriti e Giuseppe Carlo Benci è colpito a un piede da una revolverata, poi le forze dell’ordine arrestano Etrusco Benci e Ermanno Barth per aver promosso la “riunione pubblica” senza autorizzazione e Giacomo Moretti, Athos Stoppa e Mario Monaldi per aver sparato. La detenzione di Benci e di Barth dura quattro giorni, il sette novembre sono rilasciati. Il processo si tiene il ventisei gennaio del ’22, quasi tutti gli imputati vengono assolti, soltanto il fascista Stoppa e il repubblicano Guido Moneti sono condannati per porto abusivo d’arma.

Il quindici settembre del ’26 Benci deve presentarsi alla Pretura di Grosseto, perché è imputato (art.457 del codice penale) di “disturbo della quiete pubblica”, insieme a Renato Padovani, un democratico aretino, già redattore della “Voce repubblicana”. Per Benci c’è un’ammenda di 25 lire. Il sette ottobre suo padre Giuseppe Carlo muore ed Etrusco ne eredita la tipografia, dove – cessate le pubblicazioni dell’ “Etruria nuova” il ventiquattro ottobre – lavora per i clienti del capoluogo e dei comuni vicini.
Etrusco ha abbandonato gli studi tecnici, è aitante, allegro, sportivo, frequenta – ricorda Ganna – i giovani antifascisti repubblicani. “Lo chiamavamo – continua Banchi – Saliera, il gruppo, di cui faceva parte, si era dato un nome curioso, “La spendareccia”, forse per contrasto, perché, per la verità, non avevano un soldo”.
In Italia Benci – e come si può dargli torto? – non sta volentieri. Nel ’28 chiede il passaporto. Il pretesto? Le finali delle Olimpiadi di calcio di Amsterdam, che vuole seguire grazie a un viaggio organizzato dalla “Gazzetta dello sport”. C’è uno scambio di lettere fra il Ministero dell’Interno e gli uffici di polizia grossetani, questi ultimi riferiscono che, pur restando repubblicano, Benci non sembra ostile al fascismo e comunque non mostra, all’apparenza, di occuparsi di politica. Il ventisette maggio il documento gli viene consegnato, è valido venti giorni, lui va in Olanda, ma finite le gare non torna in Italia e preferisce fermarsi in Belgio. Nell’agosto del ’28 abita a Ixelles, dov’è in contatto con Renato Padovani, in questi giorni al centro di aspre polemiche, insieme a Alvise Pavan, il repubblicano, che ha ucciso a revolverate il provocatore fascista Angelo Savorelli, e all’anarchico Mario Traverso. Quest’ultimo, già partecipe del tentativo “garibaldino” del colonnello Macià di rovesciare la dittatura riveriana in Spagna, ha cercato di dar vita all’estero a un “partito d’azione”, per stroncare con ogni mezzo i riti provocatori e lo spionaggio fascista fra gli esuli.

Dal Belgio, tramite Padovani, Benci domanda a sua sorella Etruria, che vive a Grosseto, di sollecitare le autorità italiane a rilasciargli un passaporto regolare, che sostituisca quello scaduto, e ormai inutilizzabile, di cui dispone. Nei giorni seguenti si interessano di lui il Ministero della giustizia belga, il Ministero dell’interno italiano e la Prefettura di Grosseto. Alla fine un funzionario fascista annota su un foglio blu: “Il Benci ha espatriato con la scusa di recarsi alle Olimpiadi ed è rimasto in Olanda. Ora chiede il regolare passaporto. Io sarei d’avviso di negarglielo”.
Benci resta ancora qualche mese in Belgio, poi, nel febbraio del ’29, fa ritorno a Grosseto, dopo aver incontrato a Milano un parente dell’ex deputato repubblicano Eugenio Chiesa, esule in Francia dal ’26. Il prefetto Soprano riferisce che Etrusco è rimpatriato, avvalendosi di un foglio provvisorio rilasciatogli dal Consolato di Bruxelles il nove febbraio. Naturalmente si ordina di vigilarlo e di controllare la sua corrispondenza, “essendo amico del noto fuoruscito Padovani Renato”. Negli stessi giorni una spia fascista scrive di lui: “Avverto però che mi risulta sia un ragazzo intelligentissimo, abile e fidatissimo”.

Nel ’31 i funzionari grossetani segnalano che dopo il rientro in Italia Etrusco “non ha dato luogo a rilievi con la sua condotta in genere” e che continua a gestire la tipografia. In seguito Benci si mette a fare il rappresentante di macchine e accessori per le industrie grafiche della ditta Rokstrak di Lipsia, poi, verso la metà del ’35, chiede un passaporto valido per la Francia e il Belgio. Dopo un altro scambio di lettere fra il Ministero dell’interno e gli uffici di polizia maremmani, il documento gli viene rilasciato e il ventitré settembre, alle ventuno, Etrusco parte da Grosseto. L’indomani, alle 11,30, passa per il valico di Ventimiglia ed entra in Francia: non tornerà più in Italia.
Per il momento va a vivere a Nizza, dove risiede un suo amico, il grossetano Raffaello Bellucci, anche lui di formazione repubblicana, ma ora vicino ai comunisti. Nella città, che ha dato i natali a Garibaldi, Benci partecipa alle manifestazioni antifasciste, pur cercando – in principio – di celare la sua identità sotto i falsi nomi di “De Rossi” e “Curia”. Ma è presto notato dalle spie consolari, una delle quali scrive il ventinove settembre: “E’ qui da qualche giorno un amico del Bellucci, certo De Rossi di Grosseto giovane magro, alto con occhiali. Dice essere ex repubblicano, nel campo antifascista vi è molta diffidenza su entrambi, si capisce che anche loro non mancarono alla conferenza Rosselli”. Il dieci ottobre l’informatore ripete: “E’ amicissimo del noto Bellucci Raffaello di Felice e si dichiara ex repubblicano. Ha partecipato anche alla conferenza tenuta dal noto Rosselli Carlo”. Il quattordici ottobre la Prefettura di Grosseto ipotizza che “De Rossi” non sia altri che Etrusco Benci, il cui padre fu “in vita uno dei maggiori esponenti di tale partito [il Partito repubblicano], in questa città”. Qualche giorno dopo l’identificazione è data per certa.

Nelle settimane seguenti Benci interviene a tutte le iniziative antifasciste, che si tengono a Nizza, ma gli esuli italiani, scottati tante volte dagli infiltrati, sono diffidenti e guardano con sospetto – se si crede agli informatori dell’Ovra – tanto Bellucci che Benci. Per altro i legami fra i due antifascisti maremmani si interrompono presto: Etrusco segue una strada politica diversa da quella dell’amico e simpatizza per i massimalisti, i socialisti dissidenti legati al Bureau di Londra, che pubblicano in Francia l'”Avanti!” e che hanno espulso, qualche anno prima, Pietro Nenni dal partito. I loro esponenti sono Angelica Balabanoff, Dino Mariani (Elmo Simoncini), che è il segretario generale dell’organizzazione, e Oreste Mombello. La sezione massimalista di Nizza – alla quale aderirà di lì a poco Benci – è composta da Duilio Balduini, un rivoluzionario di 55 anni, che nel ’19 è stato sulle barricate di Berlino con gli spartachisti, dall’austriaca Rosa Winkler, che è la sua compagna, da Ottavio e Aldo Mazzetti, da Renzo Picedi, da Pietro Fancelli (“Castello”) e da Amedeo Caprini.
Il diciassette febbraio Etrusco tiene una conferenza di economia politica alla “Fratellanza” di Nizza, in maggio frequenta i corsi di cultura, organizzati dalla L.I.D.U., e in giugno parla per i massimalisti a Saint-Roch-Roquier. Qualche giorno più tardi una spia dell’Ovra (il “n.513”) scrive che “L’Etrusco si è rivelato non solamente un oratore ma anche uno studioso di soggetti sociali per esempio tratta il marxismo con la massima facilità, parlò dell’economia fascista e del corporativismo facendo risaltare che non è che un bluff della politica del regime…” Considerandolo ormai un oppositore temibile, le autorità italiane ordinano che venga perquisito e segnalato, qualora si presentasse alla frontiera.

Il diciassette luglio i militari spagnoli, di stanza in Marocco, si sollevano contro il Governo repubblicano e ha inizio la guerra civile. Le notizie degli scacchi, subiti dai “faziosi” a Barcellona e a Madrid, entusiasmano gli esuli italiani, una parte dei quali varca subito i Pirenei, per battersi, con le armi in pugno, contro gli insorti, legati e appoggiati da Hitler e da Mussolini, e per dare il proprio contributo alla rivoluzione sociale, che, in pochi giorni, sembra avere spazzato il “vecchio ordine” a Barcellona e in altre città spagnole. Benci lascia la Francia il dodici agosto, diretto in Catalogna, insieme ai compagni di idee Pietro Fancelli (“Castello”) e Renzo Picedi. In Spagna Etrusco è stato preceduto, alla fine di luglio, da un rappresentante del partito massimalista, il valdese Giuseppe Bogoni, che si fa chiamare Martini e che sogna di scrivere romanzi. Il partito “fratello” di questi esuli italiani è il P.O.U.M., una formazione in cui sono confluiti gli ex trotskisti spagnoli di Andrade e Nin e il Blocco operaio e contadino di Maurín e Gorkin. Il P.O.U.M. fa parte del Bureau di Londra, un organismo internazionale che raggruppa i socialisti di sinistra, estranei alla socialdemocrazia, al trotskismo e allo stalinismo, e ritiene che la lotta, che si conduce in Spagna contro i militari sediziosi, non possa essere disgiunta dalla rivoluzione sociale. Come gli anarchici della F.A.I. e della C.N.T., il P.O.U.M. ha i propri rappresentanti nel Comitato delle milizie, che è sorto a Barcellona nelle giornate di luglio, e molti dei suoi iscritti sono andati, dopo il venti luglio, in Aragona a combattere contro i ribelli.

Nella seconda metà di agosto Benci si arruola in una Colonna del P.O.U.M. La formazione porta il nome di Lenin ed è composta da un buon numero di stranieri: fra gli italiani ci sono anarchici, bordighisti, trotskisti, massimalisti, antifascisti privi di etichetta e persino un liberale e uno stalinista.
La “Lenin” è guidata dall’antico sindacalista Enrico Russo, che è stato segretario dei metallurgici a Napoli ed esponente di punta della frazione bordighista all’estero, fra i miliziani ci sono Mario Traverso, Bruno Sereni, Duilio Balduini, Rosa Winkler, Virginia Gervasini, Mario Fusero, Cristofano Salvini, Bruno Sereni, Domenico Sedran, Mario Bramati, Placido Mangraviti, Piero Milano, Gildo Belfiore, Costante Mengoni, Renato Pace, Bruno Zecchini, Emilio Lionello, Nicola Di Bartolomeo, Giuseppe Morini, Guido Lionello, Paolo Psalidi, Costa e molti altri rivoluzionari italiani, belgi, francesi e romeni.
Impegnati, accanto ad altre Colonne antifasciste, negli accaniti combattimenti, che si svolgono intorno a Huesca e a Caseta de Quicena, i volontari della “Lenin” collaborano alla conquista di Monte Aragón, pur perdendo, in settembre, sotto il fuoco nemico parecchi compagni, fra cui il trotskista Robert de Fauconnet, i comunisti Roger Laurenz e Daniel Trobo Quindos e il massimalista Renzo Picedi. Tra i feriti ci sono il comunista Jean Lafargue, il bordighista Gildo Belfiore e lo stesso Benci, colpito da una pallottola a una gamba e ricoverato all’ospedale di Barcellona.

Il sette ottobre il capo della Divisione di polizia politica, Di Stefano, scrive che in ” Aragona (Spagna) combatte contro i nazionalisti insorti una colonna di antifascisti internazionali, appartenenti alle più svariate tendenze politiche. Questa colonna sarebbe comandata dal bordighista Russo, già residente a Brusselle, e vi appartengono, tra gli altri, il noto Bogoni Giuseppe di Isidoro (Martini), Piceddi Renzo di Guido, rimasto ucciso in un recente combattimento, nonché Balduini Duilio, aggregato all’esecutivo del “P.O.U.M.”, un rappresentante del partito massimalista italiano, nonché certo Benci, già residente a Nizza e certo Castello [Pietro Fancelli] anche esso residente a Nizza”.
Dal canto suo la Prefettura di Grosseto chiede l’iscrizione di Etrusco nel Bollettino delle ricerche “per il provvedimento di arresto” e la Divisione polizia politica conferma, il diciannove ottobre, che il rivoluzionario grossetano, rimasto “gravemente ferito” in combattimento, è degente in un ospedale barcellonese.
Il due dicembre il Ministero dell’interno segnala Benci come un “sovversivo pericoloso” e ne ordina la schedatura, che il dieci dicembre è cosa fatta. Il prefetto di Grosseto, Enrico N. Trotta, forniti i connotati dell’esule (statura alta, fronte alta, espressione fisionomica intelligente, abbigliamento elegante, miope, porta occhiali a stanghetta…), ricorda che ha frequentato le scuole tecniche fino alla seconda classe e che, in passato, ha professato idee repubblicane, non menziona il processo del ’21, ma si sofferma sull’espatrio del ’35. “Da quanto sopra si è detto – conclude Trotta – è un individuo che rivelasi piuttosto pericoloso per la discreta cultura, per la parola piuttosto facile, per la capacità di tenere conferenze e per il fanatismo con cui ha dimostrato di voler attuare le ideologie avverse al fascismo”. Il ventuno dicembre un funzionario del Casellario politico centrale annota sulla stessa scheda che si “ha motivo di ritenere che il Benci trovisi tuttora in Spagna essendosi arruolato in quelle milizie rosse; anzi, attraverso la riservata revisione di una lettera di un di lui amico diretta a Scopetani Giuseppe, si è potuto apprendere che nell’ottobre scorso egli si sarebbe trovato a Barcellona, dopo essere stato ferito in un fatto d’armi”.

La missiva è stata inviata il ventisei ottobre da Raffaello Bellucci all’ex repubblicano Giuseppe Scopetani, insieme a due ritagli di giornale. “In un primo tempo – ha raccontato il Bellucci – le notizie che ho avuto sul suo conto mi avevano veramente allarmato, ma poi ho ricevuto una sua lettera nella quale mi dava notizie precise e fra l’altro quella di essere quasi guarito… In questo momento so che è a Barcellona, però non ho più avuto notizie dirette, e lì in ogni modo è al sicuro”. Nella lettera, firmata “Aligi”, Bellucci fa alcuni nomi: “Ardito” è, secondo la polizia, Ardito Sellari Franceschi, nato a Scansano il ventuno luglio 1889, ex repubblicano, cognato di Etrusco Benci, di cui ha sposato la sorella Etruria, “Puppi” è Bruno Carmignani, nato a Grosseto il trenta giugno 1906, già iscritto alla gioventù repubblicana, “Secco” è Umberto Colucci, nato a Grosseto il diciassette novembre 1896, dipendente della ditta Arturo Gorrieri, ex repubblicano. In uno dei ritagli appare una foto di Benci, Picedi, Fancelli e Milano, scattata a Barcellona in agosto, e si legge: “Voici, de gauche à droite: Enzo Picedi, coiffeur, mort le 19 septembre; Castello, mécanicien; Etrusco Benci, menuisier, qui fut blessé sur le front de Huesca”.
Nel secondo ritaglio (si tratta di un articolo apparso sull'”Avanti!”) è scritto: “E Benci? Perché non si parla di Benci? Viene da Nizza. Giovane, intelligente, istruito: animo di poeta, pensieri da filosofo. Ragionatore serrato, stringente, corretto, conseguente. Le sue conversazioni sono dilettevoli. Ma è un coraggioso, un combattente. Ferito a pochi passi da Renzo il medesimo giorno che egli cadde. Trascina ancora la gamba, traversata da una pallottola, ed attende la guarigione per tornare al fronte”.

Dopo la guarigione, Benci fa, per un po’ di tempo, lo speaker per il P.O.U.M. a Radio Barcellona, poi, nel gennaio del ’37, manda all'”Avanti!” un articolo, dove denuncia l’avanzata strisciante della controrivoluzione in Spagna. “La rivoluzione, iniziatasi così brillantemente il 19 luglio, come risposta virile alla sommossa militare fascista, sta attraversando un periodo critico, poiché l’ondata controrivoluzionaria, che già si è delineata nettamente all’orizzonte, minaccia di travolgere tutte le magnifiche conquiste strappate dal proletariato spagnolo, durante sei mesi di lotta, a prezzo di grandi sforzi e di immensi sacrifici. La controrivoluzione si presenta alle masse con una consegna che ha tutta la apparenza di essere il frutto di un ragionamento logico, stringente, ma che in realtà nasconde l’insidia destinata a frenare l’impulso rivoluzionario della classe lavoratrice. Prima di tutto – dicono i falsi rivoluzionari – è necessario vincere la guerra e quando avremo abbattuto il fascismo realizzeremo la nostra rivoluzione… La realtà è indiscutibile: guerra e rivoluzione sono due cose assolutamente inseparabili. Per vincere la guerra è necessario spingere innanzi la nostra rivoluzione. Solo sanzionando definitivamente le conquiste del proletariato e organizzando, sulle rovine dell’economia borghese crollata, una nuova economia in senso socialista, sarà possibile far fronte alle necessità della guerra. Coloro che in nome di tali necessità pretendono di soffocare la rivoluzione, sono in realtà dei nemici della classe lavoratrice”. E’ una polemica ferma con i moderati e gli stalinisti, che cercano di soffocare il moto rivoluzionario, che ha trasformato la Catalogna.
A Barcellona l’antifascista grossetano fa parte del Comitato esecutivo dell’Ufficio della Gioventù socialista rivoluzionaria e si serve di nuovo dello pseudonimo “Curia”. Nella città catalana si lega a Maria Luisa, la donna, che diventerà sua moglie e da cui avrà un figlio, che non conoscerà mai, e in aprile partecipa, come miliziano della 29ª Divisione (l’ex Colonna Lenin) – insieme a Pietro Fancelli, a Mario Traverso, a Pasquale Fioravanti e a Camillo Lanzillotta (“Nathan”) -, ai combattimenti di Carrascal de Huesca, in cui muore il massimalista Raffaele Serra.

A fine mese è di nuovo a Barcellona, dove si trova ancora nei primi giorni di maggio del ’37, quando la controrivoluzione staliniano – moderata innesca drammatici scontri nella capitale della Catalogna. La massa operaia, il P.O.U.M. e gli anarchici resistono armati alle provocazioni, ci sono centinaia di morti e gli uomini di Mosca assassinano – fra gli altri – l’anarchico Camillo Berneri, che su “Guerra di classe” aveva sostenuto l’inscindibilità del binomio guerra-rivoluzione e difeso apertamente il P.O.U.M. dalle calunnie degli stalinisti.
Nelle settimane seguenti il P.O.U.M. viene sciolto e si scatena la caccia non solo ai suoi membri (il segretario Andreu Nin, antico collaboratore di Trotskij, sparirà in un carcere segreto), ma anche agli stranieri, che hanno fatto parte delle sue colonne. Per molti di loro, veterani delle prigioni liberali o fasciste, ci sono i campi e i penitenziari della Spagna repubblicana, dove morirà l’inglese Bob Smillie e resteranno a lungo il belga Georges Kopp, il bordighista Emilio Lionello, i trotskisti Placido Mangraviti e Domenico Sedran e il comunista dissidente Enrico Crespi. Giuseppe Bogoni (Martini) e Duilio Balduini devono nascondersi per diverse settimane, prima di riuscire a passare in Francia. Per molti volontari, accorsi generosamente in Spagna, è un epilogo amaro e drammatico.
Etrusco, e con lui Fusero, Puecher e Minguzzi, lasciano la penisola iberica solo al principio del ’39, dopo la caduta di Barcellona, e vengono rinchiusi nello spaventoso campo francese di Argelès (1), come si legge in un rapporto del diciotto febbraio, secondo il quale Benci, ex milite della colonna internazionale Lenin, “comandata da militanti del POUM, trovasi in un campo di concentramento nei Pirenei Orientali e cioè ad Argelès-sur-Mer; come descrive questo campo ed il trattamento che subiscono da parte delle autorità francesi, fa semplicemente inorridire, fame, sete, freddo, e chi osa protestare sono picchiati dai senegalesi”. L’otto marzo la notizia è confermata: Etrusco Benci, “già miliziano nella colonna internazionale massimalista “Lenin”, troverebbesi in un campo di concentramento nei Pirenei Orientali e precisamente ad Argelès-sur-Mer”.

In primavera il rivoluzionario grossetano viene trasferito nel campo di Gurs, dove è ancora prigioniero, quando una spia – forse Alessandro Consani – fa sapere all’Ovra che il diciotto giugno del ’39 la direzione massimalista si è occupata dei compagni internati: “Alcune lettere di Fusero, Etrusco Benci ed altri, dai campi di concentramento, informano che l’Avanti va a ruba fra tutti gli elementi di qualsiasi tendenza politica, che si trovano al campo; che molti, già socialisti od anarchici o comunisti, si avvicinano ora al partito socialista, tanto che sperano poter costituire in breve una sezione di una ventina di elementi”. L’undici luglio un altro confidente scrive che dal “comitato pro-profughi politici, è stato deciso l’invio di franchi 500 agli italiani: Fusero, Benci, Ferrando, Bonfanti Enrico, Passadore, Volonté Giuseppe, i quali, di ritorno dalla Spagna, dove avevano combattuto nelle file del “poum” o della “fai”, si trovano ora al campo di concentramento”.
A Gurs Benci protesta, insieme a Fusero, a Guerra, a Lorenzo Giusti e a Guido Lionello, contro i soprusi degli stalinisti, che, assunto il controllo del campo, non distribuiscono la posta agli avversari politici e trattengono i loro pacchi. Il malumore e le contestazioni nel campo crescono a tal punto – racconterà Fusero -, che, in agosto, i massimalisti, gli anarchici e i trotskisti si separano dagli stalinisti e dai loro alleati di fronte popolare.

Nel febbraio del ’40 Benci viene tradotto, con una compagnia di lavoro coatto, a Santa Maria di Oloron, dove resta per tre mesi, poi, dopo la resa della Francia, si sposta in Belgio e si collega al movimento partigiano. “A Bruxelles – rammenterà Domenico Sedran, il trotskista che si fa chiamare “Carlini” e che è stato a lungo nelle carceri staliniste spagnole – divideva con me e con un anarchico, soprannominato “Carnera”, un alloggio di fortuna”. Benci aiuta “Carlini” nella diffusione della stampa clandestina e collabora alla preparazione degli esplosivi, ma i nazisti sono sulle sue tracce. Arrestato dagli hitleriani, l’antifascista grossetano è fucilato a Bruxelles il dodici giugno 1943, insieme a più di duecento patrioti belgi. In memoria gli sarà conferita la medaglia d’oro.

Note
1)Interrogato il dieci giugno 1941, l’anarchico Ciro Sparano raccontò di aver conosciuto, nell’inferno di Argelès, Benci, Fusero, “capitano del genio telegrafisti”, Mario Puecher, il repubblicano Andrea Minguzzi e altri antifascisti.

( Tratto da ” Gli antifascisti grossetani nella guerra civile spagnola” di Fausto Bucci, Simonetta Carolini, Andrea Tozzi e Rodolfo Bugiani –  Follonica 2000)