Flavio Agresti, medaglia d’argento al V. M.

Flavio Agresti

 Flavio nacque a Scarlino, quarto di sei fratelli, da Ezio Agresti e Antonia (Tonina) Toninelli, nel maggio del 1915.
Visse gli anni della sua prima giovinezza in una famiglia ricca solo di affetti, di buoni sentimenti e di sani princìpi, che furono l’humus del suo entusiasmo giovanile, della sua voglia di vivere, consapevole che il senso più vero e alto della vita è vivere insieme agli altri, generosamente, in armonia e concordia.
Era di carattere allegro e gioviale, sempre incline al buonumore e allo scherzo bonario.
Gli anni della sua gioventù furono i “Ruggenti anni trenta”, che lui visse pienamente, in quel clima di emancipazione dei costumi e voglia di rinnovamento, nonostante l’interferenza fascista.

Anche fisicamente esprimeva i tratti tipici di quegli anni: capelli ben curati e pettinati indietro, baffetti alla Clark Gable, occhi magnetici. Era un tipo, ben adattato alla sua epoca. Ottimo ballerino: le ragazze, nelle sale da ballo, se lo contendevano o, più precisamente, “se lo leticavano”. La sua professione era “muratore” e il suo hobby, oltre al ballo era la musica. Nella Filarmonica Scarlinese suonava la viola, il mandolino, la chitarra e la fisarmonica, ma il suo strumento era il sassofono tenore, che suonava nella banda paesana e poi nella banda militare.

Soldato di leva fu arruolato nel 21° Reggimento Cremona, dove fu richiamato, col grado di sergente, allo scoppio della seconda guerra mondiale, fino all’8 settembre ’43. Nel frattempo si era sposato ed aveva avuto un figlio. Con lui, nella banda militare, per un certo periodo, prestò servizio un compaesano, Adriano Ducci, che tempo dopo, confidò a Livio, uno dei suoi fratelli, che il maestro della banda militare affidava sempre a Flavio le parti d’assolo e, ogni volta, dopo averlo ascoltato soleva dire, nel suo dialetto: “Questa … è moseca!”.

L’8 settembre segnò la fine della sua “carriera militare”, e lui, tornato a casa, si dedicò totalmente alla famiglia e al suo lavoro. Fu forse per questo motivo che non entrò da subito nella formazione partigiana di Scarlino, e fu forse per recuperare questo suo ritardo che si offrì volontario nelle ultime missioni.
Nella primavera del ’44 i tedeschi convogliavano le loro divisioni verso sud a fronteggiare gli Alleati che risalivano la Penisola. Una colonna, forse proveniente dalla linea Gustav, venne ad accamparsi nella zona della Vallicella e di Uliveto ai piedi del paese. Le formazioni partigiane locali erano in stato d’allerta e costantemente vigili sui movimenti della colonna: erano in continuo contatto tra di loro e col comando del CLN, onde approntare eventuali azioni di difesa.

Fu durante uno scambio di informazioni tra i partigiani di Scarlino e quelli di Gavorrano, dove la colonna avrebbe fatto la sosta successiva, che avvenne la cattura di Flavio e del partigiano gavorranese Primo Moscatelli. Flavio, in quei giorni, lavorava al podere di Col di Sasso, proprietà del prof. Righetti, la cui moglie, di origine tedesca, era lì residente. Lo scambio di informazioni doveva avvenire, fuori orario di lavoro, presso il podere di Campo Valerio, limitrofo a Col di Sasso dalla parte di Gavorrano.

Mentre Flavio si recava all’appuntamento percorrendo la strada che dal cimitero di Scarlino porta alla deviazione sulla destra per Col di Sasso, ai lati della quale, si ergono due colonne, fu notato da due sorelle, anch’esse di Scarlino e di larghe simpatie fasciste (una di loro, la più anziana, aveva esercitato in paese la professione di levatrice e, stravaganza del destino, fu lei a farlo nascere…), queste lo segnalarono, come partigiano, a due soldati nazisti, che incrociarono per strada, i quali lo seguirono come ombre e lo colsero a ridosso di una grossa quercia, in Campo Valerio, nel momento in cui incontrava il compagno di Gavorrano. Scattò la trappola, fatalmente.

Sotto la minaccia dei mitra raggiunsero Col di Sasso, dove i nazisti pretesero un barroccino per condurli in località Le Case dove li attendeva una cantina buia, nella quale furono imprigionati fino al giorno seguente. Furono lasciati senza sorveglianza. Potevano anche fuggire: uno del posto gli tirò qualche arnese, dalla finestra inferriata, per forzare la serratura. Non fuggirono, sapevano che i nazisti, trovando la cella vuota, avrebbero fatto una strage di civili innocenti. A giorno fatto, dopo che la signora Righetti aveva generosamente tentato una intercessione presso il comandante, nella speranza di ottenere un gesto salvifico, arrivarono ordini precisi ed infausti: col solito barroccino  furono accodati alla colonna che si spostava presso la stazione ferroviaria di Gavorrano dove, poco distante, era allocato un comando nazista.

Qui, pare, siano rimasti in cattività per alcuni giorni. Allorché la colonna riprese la sua marcia verso sud, all’alba dell’11 giugno, furono fucilati a ridosso della ferrovia, nel punto in cui, oggi, un cippo marmoreo, in mezzo a due mesti cipressi, tra la ferrovia e la vecchia Aurelia, ricorda quegli spari.
Undici giorni dopo, il 22 di giugno, Scarlino fu liberato dagli Alleati, coadiuvati dai partigiani. Fu un giorno di festa: suonarono a distesa le campane per tutta la giornata. Ma un sassofono tenore, chiuso nella sua custodia nera, non suonò più.
Primo Moscatelli, per sua fortuna, non fu colpito in punti vitali e riuscì a sopravvivere.
A Flavio fu conferita la medaglia d’Argento al V.M. con la seguente motivazione:

“In un tragico periodo della Patria invasa dal nemico, si faceva organizzatore ed animatore del Fronte Clandestino di Liberazione nel paese di Scarlino. Offertosi spontaneamente per una difficile e rischiosa missione di collegamento, tra un gruppo e l’altro di patrioti, veniva catturato dai reparti tedeschi. Sottoposto a stringente interrogatorio e ad ogni specie di sevizia e di tortura, onde rivelare l’entità dei patrioti  e la missione a lui affidata, si rifiutava decisamente.
Legato, poi, dietro a un barroccino con le braccia incatenate dietro la schiena e trascinato per diversi chilometri, non avendo voluto tradire i compagni, veniva barbaramente finito da una raffica di fucile mitragliatore, chiudendo, così gloriosamente, una vita interamente dedicata alla Patria.”

(Scheda di Franco Agresti).