Costantino ZONCHELLO

 

   Efisio Costantino Battista Zonchello, figlio di Raffaele e di Liberata Porcu, nasce a Borore (Nuoro) l’undici maggio 1883. Studente liceale, di “natura indocile e irrequieta”, abbandona gli studi, “pei quali pure aveva attitudini spiccate”, “in seguito a contrasti con i familiari, borghesi di condizione e mentalità”, e nel maggio 1907 emigra negli Stati Uniti. Sbarcato a New York, girovaga per vari stati, prima di stabilirsi a Cincinnati, nell’Ohio, dove incontra l’anarchico Giovanni Solimini, “uno di quegli uomini rari – ha scritto Raffaele Schiavina – che lasciano in chi li avvicina ricordi e sentimenti indelebili”. Ed è Solimini a portare Zonchello, di cui sarà amico per tutta la vita, al movimento libertario e a fargli conoscere Luigi Galleani, l’anarchico, che redige, a Lynn, la «Cronaca sovversiva» e che, dopo la morte di Giuseppe Ciancabilla, è divenuto il maggiore esponente della corrente “anarco – comunista antiorganizzatrice”.

Negli anni, che precedono la “grande guerra”, Zonchello si occupa della redazione del periodico ogni volta che Galleani deve allontanarsi da Lynn e in diversi articoli, firmati “Cizeta”, “Costanzo”, “Tino” o “Tino Cizeta”, si oppone apertamente al tragico massacro mondiale, condanna il militarismo e i transfughi (Leggendo, «Cronaca sovversiva», 30 dic. 1916, n.53, Tirando le somme, 2 giu. 1917, n.22, ivi, Date il sangue, ora e sempre!, 16 giu. 1917, n.24, ivi, ecc.), bolla le scelte del presidente americano Woodrow Wilson, “l’esponente più genuino dei filibustieri di Wall street”, che “per la guerra si è messo al servizio dei trust” (Nel girone insano, ivi, 9 giu. 1917, n.23), difende gli anarchici Emma Goldman e Alexander  Berkman, minacciati di arresto e deportazione (Da ogni paese, 30 giu. 1917, n.26, ivi, S’accomodino pure!…, 21 lug. 1917, n.29, ivi), denuncia la repressione antioperaia negli U.S.A., i salari da fame e le condizioni disumane di lavoro nelle fabbriche (Il tempo è galantuomo, 25 ago. 1917, n.34, ivi, Lo sciopero di Lawrence, 2 giu. 1917, n.22, ivi) e pubblica, a puntate, una storia sociale della Sardegna (L’Italia irredenta. La Sardegna nei ricordi e nei convincimenti di un esule suo, 3 mar. 1917, n.9, ivi, 10 mar. 1917, n.10, ivi, ecc.).

Dopo l’arresto di Galleani nel 1918, Zonchello si trasferisce a Lynn, per dedicarsi interamente “al lavoro di compilazione e di composizione degli ultimi numeri” della «Cronaca sovversiva»: “La sua devozione all’idea – ricorderà Raffaele Schiavina – era ed è sempre stata, per chi come noi l’ha ben conosciuto durante un periodo di mezzo secolo, completa, disinteressata, sincera. Di salute non fu mai forte, aveva un carattere inquieto, un temperamento impulsivo, andava soggetto ad abbattimenti taciturni e sdegnosi che gli imponevano soste frequenti alle sue attività di lavoro e magari prolungate; ma col ritorno delle energie fisiche si riaccendevano gli entusiasmi e riprendeva la penna e si rimetteva in cammino”.

Dal dicembre 1918 al giugno 1919 Zonchello dirige, a New York, un altro foglio libertario, «Il diritto», dalle cui pagine protesta contro la “deportazione in massa” degli anarchici dagli U.S.A., scrive che il recente conflitto “ha permesso ed agevolato la soddisfazione delle libidini più paradossali della beata geldra di speculatori e di parassiti”, difende gli operai americani in sciopero (Non si salveranno lo stesso!, «Il diritto», n.6, 15 feb. 1919), inneggia alla rivoluzione, che sembra approssimarsi (Viva la rivoluzione sociale!, n.6, 15 feb. 1919, ivi), e descrive i famelici appetiti dei vincitori della guerra mondiale (Giù la maschera!, n.8, 28 dic. 1918, ivi). Nell’agosto 1921 firma, insieme a Aldino Felicani, Emilio Coda e Arturo Calvani, un appello per strappare al boia gli anarchici Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti (Contro la sedia elettrica. Per le nostre vie!, «Il martello», n.26, 6 ago. 1921), poi, dal 15 aprile 1922 al 5 dicembre 1925, redige «L’adunata dei refrattari» di New York, per la quale cura la rubrica di politica internazionale: “Attraverso il mondo in convulsione” e stila un gran numero di articoli.

Contrario all’organizzazione politica, critica gli anarchici italiani, che hanno fondato l’U.A.I. e si sono allontanati dalle folle, “costituendosi in partito e centralizzandosi negli organi e nelle commissioni di corrispondenza dell’Unione Anarchica Italiana”, illudendosi di conquistarle “con l’adottare sistemi e atteggiamenti particolari al proletariato organizzato, che è tutto senno e ragionevolezza, di contro alle intemperanze e alle inconsideratezze della marmaglia anonima, talvolta, eroica” (Un po’ d’accademia, «L’adunata dei refrattari», n.1, 15 apr. 1922), sottolinea, in polemica con Ettore Sottovia, che ci sono due specie di unioni: “L’associazione dei liberi, con molta autonomia individuale e con spiccati caratteri di spontaneità”, senza registri, tessere e iscrizioni, e l’organizzazione politica, che tende al partito, sopprime la varietà degli individui, esalta gli ordini, i comandi e le deleghe e impone norme, statuti e “leggi infrangibili”, come sta accadendo all’Unione Anarchica Italiana, la cui commissione di corrispondenza ha diramato “chiarimenti, condanne, repulsioni, anatemi”, dopo l’esplosione del Diana, pur essendo evidente che Mariani e Aguggini si erano serviti “dell’unico mezzo” per “protestare energicamente contro i soprusi” (Le unioni”, ivi, n.2, 30 apr. 1922; In tema di organizzazione, ivi, n.4, 30 mag. 1922 e n.7, 15 lug. 1922), si batte per la salvezza di Sacco e Vanzetti e per la liberazione di Aron Baron e di altri anarchici russi, imprigionati dai comunisti, rende omaggio a “Renzo Novatore” (Abele Ricieri Ferrari), caduto “nel vortice della lotta sociale”, e a Umberto Postiglione, sostiene che il fascismo è “scena, atto ed episodio della reazione mondiale”, sottolinea le analogie tra il regime di Mussolini, il bolscevismo e il giacobinismo e la loro comune predilezione per le pene capitali, i capestri e i patiboli, e manifesta il proprio disprezzo per i “beccamorti togati”, la magistratura italiana serva del fascismo.

In un articolo su Lenin, da poco defunto (E’ morto il dittatore, ivi, n.5, 2 feb. 1924), scrive che è scomparso uno “dei più grandi politicanti che siansi mai affacciati nella storia a imbrigliare e soffocare una rivoluzione”, un uomo, che ha frenato “l’ira rivoluzionaria di demolizione”, ha conservato “gli uomini e gli apparati del defunto organismo czarista per usarli a ristabilire con altro nome le stesse cose e gli stessi apparati” e si è servito della violenza “contro gli estremisti della rivoluzione”:

“L’han chiamato lo czar rosso. E non a torto. Lo stato comunista russo, la cosidetta dittatura del proletariato è l’ultima evoluzione, e, come tale, la più perfetta in rapporto alle antecendenti dell’organismo statale. Vi si accoppia la prepotenza degli uomini con l’inflessibilità delle premesse dottrinarie… Lenine è morto! E il sole risplende ancora sugli ozi e le gioie e le lussurie e le orgie della beata gente che possiede…”.

Il 28 giugno 1924, dopo l’assassinio di Giacomo Matteotti ad opera di una banda di sicari di Mussolini, denuncia il fascismo e ribadisce la volontà di vendicare tutte le vittime della reazione italiana:

 “Giacomo Matteotti non è il nemico che scalza il terreno al nemico: è qualche cosa di meglio e di più importante: è l’accusatore che prende impavidamente sulle spalle il compito grave e pericoloso di smascherare in faccia al mondo la tenia vorace che assorbe le ultime energie residuali della reazione italiana. Ricordando Matteotti e la sua opera coraggiosa noi intendiamo ricordare e vendicare tutti i caduti, tutti gli assassinati, tutti i percossi, tutti i carcerati. E se la vendetta materiale, fisica ancor non è, questa vendetta morale rende meno angosciosa l’aspettazione dell’esplosione dell’odio”.

Dopo il 1925 la collaborazione di Zonchello al giornale di New York si fa saltuaria, anche se l’anarchico sardo continua a svolgere per i gruppi “adunatisti” un’attivissima propaganda dalla costa orientale a quella occidentale degli U.S.A. Incluso dai fascisti nella «Rubrica di frontiera» per la sua pericolosità, Zonchello cerca, insieme a Virgilia D’Andrea e a Orlando Lippi, di aiutare l’anarchico Michele Schirru, arrestato a Roma il 3 febbraio 1931, per aver progettato di uccidere Mussolini, e, in luglio, è sospettato di preparare “qualcosa di serio” contro il regime fascista, insieme a Nicola Di Domenico, Raffaele Schiavina e Osvaldo Maraviglia. Nello stesso periodo – se si crede alle fonti di polizia – dichiara che la morte di Schirru non resterà invendicata e che si riterrà indegno di essere chiamato anarchico se non sacrificherà “la propria vita pur di raggiungere lo scopo”.

Al principio del 1932 le fonti dell’O.V.R.A. accennano a lui a proposito delle spedizioni, al Consolato italiano e al giornale fascista «Progresso americano» di New York, di alcuni pacchi di esplosivi, il cui scoppio anticipato ha provocato, il 30 dicembre 1931, la morte di tre impiegati alle poste di Easton, Pennsylvania, e il 13 febbraio 1932  «L’adunata dei refrattari» ospita un articolo, in cui Zonchello rende omaggio agli attentatori anarchici, uomini normali con affetti ed emozioni normali, dotati di una vivida intelligenza, che non si contentava delle spiegazioni tradizionali delle cose, ma cercava, scandagliava e investigava, da Severino Di Giovanni, di cui Zonchello segnala le “magnifiche attività” in Argentina, a Paolino Scarfò, fucilato insieme a Di Giovanni, fino a Michele Schirru, che appariva, a un osservatore superficiale, di “temperamento giovialone”, dedito a godersi la vita e incurante del dolore altrui e del disagio proprio. Nello stesso mese Zonchello organizza nel Bronx, insieme a Joe Melloni, Salvatore Dettori e Amedeo Fulvi, la rappresentazione del dramma “La morte civile”, il cui ricavato viene devoluto alla famiglia di Michele Schirru, e ripete che urge vendicare l’anarchico sardo, assassinato dal fascismo.

Il 23 aprile 1932 dedica un articolo (a firma: “Gli iniziatori primi”) ai primi dieci anni di vita de «L’adunata dei refrattari»:

 “Chi avrebbe pensato il 17 aprile del 1922, nel lanciare il primo numero della pubblicazione, che L’adunata avrebbe vissuto vegeta e rigogliosa per dieci anni? Non certo quell’anima dannata di Cesare Stami, che ad una opera buona di propaganda scocciava il prossimo circostante e rivoltava mezzo mondo e non dava pace a nessuno sino a che il suo proposito generoso non si traduceva in realtà. Né il buon Osvaldo, allora davvero un baby, ma tenace come lo stillicidio che perfora la roccia. E furono questi due gli iniziatori primi della pubblicazione. Veramente eglino pensavano ad un numero speciale, o ad una serie di numeri speciali, per fiancheggiare con maggior vigore e con atteggiamento prettamente anarchico l’agitazione pro Sacco e Vanzetti e allo stesso tempo allacciare di più metodica cooperazione gli anarchici che s’erano alimentati alle fonti di Cronaca Sovversiva…”.

«L’adunata dei refrattari» – prosegue Zonchello – continuerà ad uscire, perché “il suo compito non è esaurito. Continuerà intrepida, implacata contro i mistificatori della vita, come contro i malversatori e gli appropriatori del patrimonio comune a tutti gli uomini…” .

Incluso tra i sovversivi attentatori, Zonchello partecipa a Newark, il 22 giugno 1935, a un convegno di anarchici italiani, insieme a Raffaele Schiavina, Osvaldo Maraviglia, Armando Borghi, Nicola Di Domenico e Antonio Giuseppe Meloni, e qualche settimana dopo tiene una serie di conferenze libertarie sulla costa orientale e su quella occidentale degli U.S.A., da New York alla California. Il 16 gennaio 1937 denuncia il sostegno, che i nazisti di Hitler e i fascisti di Mussolini, reduci dalla “macelleria in grande stile in terra d’Etiopia”, assicurano a Francisco Franco, “un bravaccio spavaldo e ladrone da strada”, che, in nome dell’oscurantismo oppressore e schiavista, conduce una violenta lotta contro l’emancipazione umana e contro il nuovo mondo, che è scaturito dalla vittoriosa resistenza proletaria del 19 e del 20 luglio 1936. La fiaccola della libertà, prosegue Zonchello, sarà raccolta sulle “vie insanguinate” di Madrid e nelle “contrade incontaminate” della Catalogna “per la gloria immancabile della vendetta e del trionfo” di giustizia, libertà e armonia “tra gli esseri umani redenti col sangue più nobile e più puro della santa canaglia”.

Il 23 gennaio 1937 Zonchello chiarisce che la distruzione di conventi e chiese spagnole e l’uccisione di un certo numero di preti e frati nella penisola iberica è stato il frutto di un odio antireligioso secolare, maturato “sotto l’aculeo delle torture, degli eccidi, delle paure, di cui si servì così abbondantemente il tribunale della Santa Inquisizione”, e ribadisce che l’ostacolo “morale più grande” al rapido affrancamento “degli schiavi – scopo e ragione di tutta la dottrina socialista – è proprio lì, nella religione di dio e dei padri, per cui il dolore è sempre stato e sempre sarà maledizione ed espiazione del peccato originale…” .

Il 21 maggio 1938 Zonchello viene schedato. La Prefettura di Nuoro lo descrive come persona di corporatura piccola e dai capelli castani brizzolati, intelligente, “di carattere esaltato, di temperamento vivace, insofferente ad ogni limitazione legale o freno disciplinare”, che si impegna incessantemente nell’opera di propaganda. Nel 1939 Zonchello si sposta sulla costa occidentale, per tenervi altre conferenze, e verso la fine del 1943, quando ormai è all’orizzonte la disfatta nazifascista, scrive che “i popoli non hanno voce in capitolo”, sebbene la coalizione alleata si professi democratica, e che i governanti sconfitti sono rimasti al loro posto per soffocare qualunque opposizione popolare. Anche la casa Savoia vuole continuare a governare, con l’appoggio della Chiesa e della “borghesia grassa, indigena ed estera”, sebbene, “chiamando a capo del governo il capo del fascismo e dandogli mano libera alle più matte imprese”, abbia gravissime responsabilità nella tragedia del popolo italiano (Il re rimane!, ivi, n.52, 25 dic. 1943).

Quanto al bolscevismo, che ha rinunciato alla “malagevole rivoluzione”, esso serve oggi la democrazia, diffamando il comunismo con le sue scelte e rendendolo odioso ai popoli, che continua ad ingannare (Pares com paribus, ivi, n.4, 22 gen. 1944). Collaboratore de «L’adunata dei refrattari» anche nel dopoguerra, Zonchello scrive, in uno dei suoi ultimi articoli (Luci ed ombre de la società civile contemporanea, ivi, n.3, 17 gen. 1959), che una volta “credere in un dio, in una setta, in una chiesa, o non credere”, era un diritto; oggi “ignorare dio, la chiesa, la bibbia – questo ammasso di racconti fanciulleschi –… è un delitto dei più sacrilegamente orrendi”, la libertà che certi filosofi dicono inviolabile viene negata dagli uomini di stato e dagli industriali, il cittadino “sovrano d’un giorno dev’essere servo umilissimo di tutte le ore, ubbidiente pedissequamente alla legge fatta dai furbi…”.

Colpito da paralisi all’inizio degli anni Sessanta, Zonchello muore in un ospedale di Los Angeles il 24 settembre 1967.

Fonti: M.S. [Raffaele Schiavina]. Costantino Zonchello, «L’adunata dei refrattari», n.21, 14 ott. 1967; Uno che lo conobbe. I nostri lutti. Costantino Zonchello, «L’internazionale», n.20, 15 ott. 1967; Precisazioni del compagno Sartin, «A», n.6, lug. – ago. 1971, p.15; Licheri, Giovanna. La posizione ideologica de “L’adunata dei refrattari”, «Volontà», n.5, set. – ott. 1971, p.388, 390-391; ivi, n.3, mag. – giu. 1972, p.202; Bettini, Leonardo. Bibliografia dell’anarchismo, v.1, to.2, Firenze: cp, 1976, p.208; AS, p.359; Zonchello, Costantino. L’ultimo delitto, «L’adunata dei refrattari», n.26, 28 giu. 1924; Nell’anniversario, ivi, n.6-7, 13 feb. 1932; Avanti sempre verso la liberazione!, ivi, n.2, 16 gen. 1937; Dalli al tronco dell’inganno e della superstizione!, ivi, n.3, 23 gen. 1937, ecc.

 

 

Scheda di Fausto Bucci, Michele Lenzerini, Gianfranco Piermaria