FOSCO SORRESINA ”Fosco di Cice”

 Nato a Massa Marittima il 9 aprile 1925, Fosco vive fino all’età di circa sette anni in Valpiana dove i genitori Pia Orlandini e Felice Sorresina hanno in affitto un podere. Per motivi di lavoro la famiglia si trasferisce prima a Prata, dove Fosco frequenta le elementari, successivamente nelle immediate vicinanze, in campagna, in una casa sulla strada ‘’massetana’’, in località Ispanto, tra il Gabellino e il bivio per Tatti, che i genitori hanno ereditato e che sarà la casa che Fosco amerà e curerà fino all’ultimo dei suoi giorni.

La lettura e la cultura in genere sono tra le sue principali passioni adolescenziali ma, come in tantissime famiglie di allora, i soldi per farlo studiare non ci sono: l’alternativa è quella di imboccare la strada per entrare in seminario… ma Fosco non ha predisposizioni religiose e così rinuncia agli studi che coltiva da solo leggendo molto.

All’età di 19 anni, in piena guerra, chiamato alle armi dai fascisti, non ha esitazioni su come schierarsi e si unisce al movimento partigiano locale insieme ad altri coetanei. Fa parte della 3° Brigata Garibaldi Camicia Rossa, quella del Capitano Chirici, prima nelle macchie intorno a Prata, poi intorno al Frassine dove il 16 febbraio del 1944 subisce un sanguinoso rastrellamento da parte dei fascisti repubblichini. 14 partigiani, sorpresi, sono fatti prigionieri al podere di Poggio Rocchino, tra loro c’è Fosco: saranno portati a Massa Marittima, pestati e vilipesi, poi a Grosseto ed infine alle Murate di Firenze in attesa di un sommario processo e della probabile fucilazione.

Poco più in là, a Campo al Bizzi, invece altri 5 partigiani non si arrendono neanche a munizioni finite e vengono stanati solo con l’incendio del podere. Feriti, sono finiti a pugnalate, vigliaccamente, i partigiani Silvano Benedici di Volterra, Pio Fidanzi di Prata, Otello Gattoli di Massa Marittima, Salvatore Mancuso [ a lui, moribondo, viene infilato un pugnale in bocca con le sghignazzanti parole ‘’Noi si mangia il pane, te mangia questo…’’ ] e Remo Meoni.

Una testimonianza per tutte riportata da Fosco Sorresina sul suo bel libro: ” Furono uccisi e straziati dopo morti, nelle loro bocche furono rinvenuti perfino gusci d’uovo. Morirono da eroi sparando fino all’ultimo colpo poi, quando il podere crollava per le fiamme, dovettero uscire a mani alzate. A mani alzate non si spara, ma i fascisti sì. Nella stalla moriva carbonizzato anche Sauro, il nostro caro amico cavallo normanno “.

Unico superstite è Canzio Leoncini che riesce a salvarsi buttandosi da una finestra e, pur ferito ad un gluteo, si dilegua nella macchia dove i fascisti, come loro costume, non entrano ….

Nel frattempo la casa di Fosco diventa un punto di riferimento per i partigiani del cosiddetto “Centro”: vi si accede con la parola d’ordine ‘’Numero dieci’’. I partigiani vi arrivano di notte, si fanno riconoscere con quella parola d’ordine, sono quindi ospitati, rifocillati, curati se necessario da Pia e da Felice. A queste frequenti visite assiste anche l’altro figlio Silvio, poco più che un bambino, che non si lascerà mai sfuggire alcuna informazione o traccia di quelle presenze.

Al mattino presto, ancora a buio. Felice li accompagna alla loro destinazione. Questa casa verrà perquisita più volte dai carabinieri in cerca di armi, inutilmente, anche se una volta vi viene trovato un telefono a manovella americano e del filo telefonico: motivo sufficiente per un processo a Felice Sorresina da parte del Tribunale di Grosseto con la condanna a 2 anni di condizionale per reato di materiale bellico non riconsegnato.

Felice e Pia rappresentano quindi quel retroterra logistico e politico, quell’ appoggio popolare senza il quale nessuna Guerra di Liberazione ha speranza di vittoria.

Fosco rimane in carcere a Firenze, col pericolo della fucilazione, fin quando gli americani arrivano a Piazzale Michelangelo e quindi, liberato, fa ritorno a piedi a casa.

 Nella vita civile Fosco Sorresina sarà un dipendente della Montecatini, si impegnerà in politica e si interesserà dei problemi sindacali dei minatori: scioperi ed agitazioni sotto il motto a lui caro ‘’ meglio mangiare una cipolla da ritti che una bistecca da seduti ‘’. La sua adesione ai principi del marxismo-leninismo lo fanno entrare subito nel Partito Comunista Italiano per il quale, dal 1959, diventa funzionario politico della Federazione Provinciale, trasferendosi a Grosseto.

Riprende poi la sua vecchia passione per lo studio che guerra e condizioni economiche modeste gli avevano fatto abbandonare; con la licenza di Terza Media che consegue riesce a vincere un concorso per l’ENPAS, ente per il quale lavorerà fino alla pensione. Naturalmente continuerà il suo impegno anche fuori dal mondo del lavoro: quello sindacale con lo SPI-CGIL, quello culturale con la pubblicazione del suo libro autobiografico ‘’ Camicia Rossa: dal Frassine alle Murate ’’.

Muore all’età di 71 anni il 18 luglio 1996, per un malore che lo coglie mentre sta recandosi alla sua vecchia casetta presso Prata, la stessa che fu importante base di appoggio per molti partigiani. ‘

” Ricordati che la libertà da noi conquistata è un bene che va difeso un giorno dopo l’altro ‘’ – Fosco Sorresina

(Scheda di Silvia Sorresina ed Aldo Montalti)