Renato Piccioli, ‘Gianni’

 Renato Piccioli nasce a Massa Marittima il primo gennaio del 1924.
Il padre Duilio ( 1886, soldato al fronte nel 1915/1918 ) lavora in portineria all’ Ospedale Sant’Andrea, la madre Emilia Molendi, detta Lidia, è casalinga.
L’ambiente familiare è tenacemente legato alle idee repubblicane ‘’di sinistra’’ ( come a Renato piace sottolineare ‘’la prima bandiera rossa s’è avuta noi repubblicani …” ) e quindi non compromesso con il regime. Il suo carattere ribelle viene fuori già nell’età pre-scolare allorchè Renato più volte scavalca la recinzione dell’ asilo infantile tornandosene a casa e troverà il suo apice in alcuni episodi di scontro fisico con un soldato tedesco mostratosi offensivo nei confronti di un vecchio giocatore di carte antifascista ( in questo episodio lo disarma della baionetta ) e con alcuni fascisti poi.
Del resto, pur non essendo un gigante, Renato ha una gran velocità e comunque un vigore giovanile che lo avevano portato, poco tempo prima, a laurearsi campione provinciale di atletica nelle discipline del lancio del giavellotto e del salto con l’asta.

 Il coraggio non gli manca, l’ostilità al regime neppure, un mix pericoloso: è infatti uno dei più assidui partecipanti alle attività del gruppo denominato “i ragazzi della Torre” perché si riuniscono segretamente nell’antica Torre del Candeliere per scambiarsi opinioni sulle aggressioni fasciste ai danni degli oppositori, per sognare una rivincita che non tarderà ad arrivare, per ascoltare i discorsi politici di vecchi antifascisti come l’anarchico massetano Beppe Gasperi, discorsi magari non sempre compresi e non sempre condivisi, ma che offrono un punto di vista antitetico al pensiero unico dominante ed imposto con l’educazione scolastica a senso unico, una rara occasione per pensare collettivamente.

 Anche per lui, quindi, gli avvenimenti del 25 luglio e dell’ 8 settembre 1943 portano velocemente ad un percorso già scritto, quello della renitenza alla leva repubblichina e dell’arruolamento tra le fila partigiane.
La caduta del regime fascista in luglio lo vede tra le centinaia di persone festanti che a Massa si riversano nella piazza del Duomo a festeggiare l’arresto del “duce degli italiani”. Con lui gli altri “ragazzi della Torre” come Giorgio Verniani e Mauro Tanzini, Otello Gattoli ed Elvezio Cerboni, una “camionata” di antifascisti sorridenti caricati dall’ autotrasportatore Daviddi provenienti dalle campagne, qualche “imboscato” (Renato non è tenero con alcuni voltagabbane dell’ultim’ora …) ma in sostanza tantissima gente presa molto più dalla gioia di un’apparente libertà ritrovata che non dal desiderio di rivalsa immediato.
Testimonia infatti che vi furono solo “qualche spintone” nei confronti di  sprovveduti fascisti che tentano di far finta di niente.

 Di quella giornata narra anche del folto corteo che operai e minatori improvvisano da Niccioleta per raggiungere il capoluogo: la lunga fila di lavoratori viene inizialmente fermata con Cavalli di Frisia ed armi ben in vista da un reparto di bersaglieri proprio sul Ponte di Ghirlanda.
C’è tensione da ambo le parti. Poi, sparito il comandante, il suo vice sembra solidarizzare coi dimostranti e, fatta suonare la ritirata, lascia loro via libera.

 Arruolato nel ricostituito esercito italiano, all’ Armistizio dell’ 8 settembre si trova a Viterbo nel V° Squadrone Aerosiluranti ( “… ma di aerosiluranti ‘un ce n’era rimasto nemmeno uno … ” ). Fuga veloce verso Ostia, poi Roma, quindi su un merci lentissimo verso Nord da cui, in prossimità di Rondelli (Follonica), salta comodamente giù per ritornarsene a Massa Marittima.
Riunitosi coi “vecchi ragazzi della Torre” non se ne sta con le mani in mano: “visita” il Convento delle Clarisse appena abbandonato da un reparto di bersaglieri reduci dalla triste e infame Campagna di Russia, dileguatisi in abiti civili rimediati alla meglio … e comincia, coadiuvato dal fratello maggiore, ad accatastare le armi abbandonate in un casotto del suo orto: 2 mitragliatrici St.Etienne, 3 mitragliatori Beretta, un mortaio ”Brisia da 45” (” … s’aveva un mortaista era proprio bravo’ …”), alcuni fucili ’91, saranno queste le armi di uno dei primi nuclei partigiani della Resistenza.

 Alla macchia, a Poggio Romitorio, si affidano al più anziano Giuseppe Martellini che li conduce in una casa colonica diroccata dove si acquartierano per alcune settimane. Del gruppo, una trentina al massimo, fanno parte i fidati Giorgio “Becone” Verniani, Mauro Tanzini, Fulvio Guarguaglini, Renato Roccabianca, Mario Menichetti, Roberto Santini, Elvezio Cerboni. Abbandonato il Romitorio perché ritenuto inadatto, si prendono i contatti col CLN di Piombino che dovrà dirigere politicamente e logisticamente la lotta di liberazione in zona.

 Nascono i primi dissidi politici e militari: la dura vita di privazioni, il continuo pericolo nazista e l’arrivo del freddo e delle piogge non aiutano certo a restare calmi. Ci si fraziona.
Una parte del nucleo partigiano segue il capitano Mario Chirici, repubblicano di nomina del CLN massetano, per formare la IIIa Brigata Garibaldi ”Camicia Rossa” che si stablisce nel triangolo compreso tra Massa Marittima, Monterotondo Marittimo e Suvereto; molti tra i partigiani di matrice comunista riconoscono invece l’autorità di Elvezio Cerboni ed emigrano verso i monti delle Carline per passare poi nella XXIIIa Brigata ”Boscaglia” sotto il comando del comandante comunista Giorgio ”Paolo” Stoppa, medico livornese.
I non pochi rimasti continuano a chiamarsi Banda partigiana ”Camicia Bianca” (alla fine saranno in trecento combattenti ) ed entrano a far parte del Settore C del Raggruppamento Monte Amiata comandato dal colonnello Adalberto Croci, una folta formazione lealista di base monarchica di cui fanno parte i tenenti Lucchini e Canzanelli e numerosi  sottoufficiali rimasti fedeli alle consegne badogliane.

 Un massiccio attacco tedesco portato coi carri armati contro la ”Camicia Bianca”, verso le Capanne Vecchie,  provoca la fuga del comandante di allora, un ambiguo partigiano, ma non il ripiegamento della Formazione che, seppur con armi inappropriate contro le corazze dei mezzi nazisti come le deboli bombe a mano o le improvvisate Molotov, mantiene in sostanza le postazioni: i tedeschi si ”accontentano” di distruggere il deposito viveri, incendiare un podere, ma non si avventurano fuori dai carri.
Dopo questa atipica battaglia (i tedeschi usavano poco i carri armati nella lotta contro i ”banditi”, il terreno boscoso era disagevole per quei mezzi imperforabili, sì, dalle armi partigiane ma impacciati nei movimenti), il ruolo di comandante della ”Camicia Bianca” viene affidato direttamente dal colonnello Croci a Renato ‘’Gianni’’ Piccioli per il fatto di essere l’unico partigiano con un titolo di studio superiore ma, di certo, non devono essere stati estranei i meriti acquisiti nelle azioni di guerriglia, dal momento che una volta ”Gianni”, con un’improvvisa e veemente azione personale, aveva condotto Croci ed altri partigiani fuori da un accerchiamento tedesco alla Castellaccia (dopo questo scampato pericolo, in segno di gratitudine, il colonnello promise a Renato di essere il padrino di uno dei suoi futuri figli, cosa poi avvenuta).

 Nella zona di pertinenza di questa Brigata, compresa nel vasto territorio a sud-est di Massa Marittima fino ad avvicinarsi a Follonica da un lato e ad oltrepassare Giuncarico dall’ altro, non sono poche le azioni partigiane condotte da Renato e dalle squadre dei suoi vice ”Becone” Verniani, Mario Menichetti e Palmiro Guazzini di Campo Ruffaldo.
Numerosi sono i tedeschi catturati in vari episodi, tra cui la veloce battaglia di Giuncarico, non pochi i repubblichini che lasciano la pelle in uno scontro a Schiantapetto: ”… la Camicia Bianca ai nazisti gliene fece vede’ nere …” scherza il partigiano ”Gianni ”.

 E deve essere stato proprio così dal momento che la Wermacht, sulla strada che porta a Capanne Vecchie poco fuori l’abitato massetano, in località Palazzone, aveva messo un potente avamposto per delimitare l’inizio di quella che a ragione i tedeschi dovevano considerare l’inizio di una zona off limits, l’inizio della zona controllata dai partigiani di ”Gianni” ( ”… e di lì ‘un si passava … ci temevano …”) .

 L’azione forse più suggestiva è l’occupazione momentanea di Massa Marittima il 10 giugno del ’44, ben quattordici giorni prima dell’ arrivo delle truppe americane: dopo lo scontro vittorioso di Schiantapetto, sopra menzionato, alle 18 gli uomini della Camicia Bianca possono scorazzare per il paese spegnendo le ultime illusioni fasciste.

 Collaboratrice di prim’ordine di questo raggruppamento è stata la staffetta Norma Parenti, martire Medaglia d’Oro della Resistenza, giovane madre instancabile e caparbia partigiana a cui si deve, come ci ricorda Renato Piccioli, tra l’altro, la diserzione in massa della guarnigione dei militi repubblichini che lei condusse personalmente, armi e bagagli, sul luogo convenuto quando il nucleo partigiano addetto si aspettava solo una delegazione per trattare la resa.
Della formazione faceva parte anche il parroco di Follonica, il celebre Don Ugo Salti, Medaglia d’Argento al V.M., il quale, pur continuando a curare le anime, girava prudentemente ben armato di pistolone, arma che ”Gianni’’ però ricorda essere più appariscente che funzionale.
Un ricordo ed un moto di gratitudine Piccioli lo dedica anche al medico Santarnecchi, al dr. Ugolino Zeppini, ad un ufficiale alpino del quale non ricorda il nome che rischiava molto portando informazioni e armi.

 Dopo la Liberazione, insieme a Dino Cocolli e ad una trentina di suoi compagni, si rende disponibile a collaborare con l’esercito americano sul fronte giapponese, ma l’arruolamento non va poi in porto: forse gli americani già stanno pensando ad una risoluzione ben più drastica del conflitto … a base di energia atomica.

Posate le armi, differentemente da altri comandanti partigiani che continuano ”civilmente” il loro impegno partigiano impegnandosi politicamente per la trasformazione sociale, ”Gianni” ritorna Renato e sparisce dalla scena, pur conservando i motivi delle sue discussioni e polemiche che ancora oggi porta avanti.

 A lui, comunque, si deve il merito culturale della rinascita dell’ evento del Balestro del Girifalco, essendo ancora oggi uno dei principali ispiratori di questo importante appuntamento di memoria  e folklore medioevale.

Renato muore a Massa Marittima la sera del 18 giugno 2012.

(Scheda redatta da Aldo Montalti sulla base della testimonianza rilasciatagli da Renato Piccioli il 15 giugno 2011 nella sua abitazione di Massa Marittima – Le foto sono di Luana Tommi che ha anche collaborato allo svolgimento dell’intervista – Con il contributo della signora Alfredina Cavaglioni Piccioli [nella foto], da 65 anni moglie di Renato, diretta testimone dell’ occupazione della Wehrmacht nella zona di Massa Marittima avendo dovuto ospitarne forzosamente il Comando nel suo podere).