Vittorio Parrucci

Figlio di Artidoro e Cesira Zarrino, nasce a Livorno il 5 agosto 1872 e fa il calzolaio.

“Iscritto alla setta anarchica”, l’8 ottobre 1901 sta passeggiando con otto compagni per Corso Amedeo, quando incontra una pattuglia di carabinieri, in servizio di ronda e, senza essere provocato, dà uno “scapaccione” all’appuntato Pietro Grossi, buttandogli il cappello per terra. Il sottufficiale cerca di arrestarlo, facendosi aiutare dal carabiniere Alfredo Cingottini, ma l’anarchico Giuseppe Meozzi, accorrso in aiuto di Parrucci, ferisce il Cingottini con una coltellata.

Schedato il 16 febbraio 1902 dalla Prefettura di Livorno, Parrucci esce dal “cenno biografico” come persona dal carattere violento, che non riscuote buona fama nell’opinione pubblica, ma si comporta bene in famiglia e svolge attiva propaganda anarchica tra la classe operaia. Incarcerato per violenza, resistenza e oltraggio ai carabinieri, viene condannato a sei mesi di reclusione e a 300 lire di multa il 16 aprile 1902.

 Negli anni seguenti resta fedele ai principi libertari e il 19 gennaio 1920 viene arrestato a Bologna per misure di pubblica sicurezza. Dopo l’ascesa al potere di Mussolini e del fascismo, non abiura e viene sorvegliato fino alla morte, che lo coglie a Livorno l’otto gennaio 1939.

(Scheda di Fausto Bucci, Claudio Gregori, Gianfranco Piermaria, Andrea Tozzi).