FRANCESCO BARCELLI

                                                                                                                                                                                                                                                        Francesco “Cecco” Barcelli nacque nel 1920 a Follonica, quando questa era ancora un modesto villaggio, dove come tanti altri il suo babbo tirava avanti la famiglia a stento facendo il facchino ai pontili, insieme a Gino Bencini, a Latino Paoli, a Delfo Panerai ed a Armando Gesi.

Cecco cominciò a lavorare subito dopo le elementari ed a 16 anni venne assunto nell’ impresa concessionaria della “coltivazione” della discarica dei loppi del Puntone Vecchio. E sui Poggi Butelli si fece duramente le ossa, rimuovendo le antiche fusioni, insieme a Egidio Frosi e a tanti altri giovani, riempiendo di scorie le “coffette” che l’anziana “Garibalda” e altre donne mature e ragazze portano a spalla fino all’impianto di arricchimento del minerale.

Quelle prime esperienze di vita – segnate dalla fatica, dalle basse mercedi, dai cottimi, dal pericolo incombente negli scavi a “sgrotto” – favorirono la maturazione in lui di una forte insofferenza per il padronato e per il sistema capitalistico, per la demagogia fascista, per la retorica molesta del “duce”, per le “premilitari” in camicia nera e per tutti gli altri orpelli del regime, e gli fecero capire che si doveva puntare alla costruzione di una società diversa, dove non ci fosse chi viveva negli agi, chi stramazzava di stanchezza e faceva la fame privandosi di tutto.

Le sue trasgressioni ed i suoi anomali comportamenti – in un universo livellato e conformista – non sfuggirono agli zelanti servitori del fascio e, nel 1939, due squadristi lo aggredirono al Bar Impero allo scopo – come ci raccontava lui – di “raddrizzarlo” e gli disegnarono sulla schiena, colpendolo con una stecca da biliardo, ” una maglia a strisce, come quella della Juve …”.
Testimone dei pestaggi patiti da altri antifascisti – Ciurlino Ciurli, Francesco Carresi, Edoardo Ricci – ma anche del bel “pagato” somministrato dal sovversivo Ivan Luigi Dell’ Alba ( il popolare “Gigi della Lombardina” ) al vicesegretario del fascio di Follonica, Leopoldo Mulinacci, in piazza Sivieri, a calci e pugni, Cecco venne richiamato alle armi dopo il 10 giugno del ’40, il giorno in cui Mussolini trascinò l’ Italia in guerra, a fianco delle croci uncinate tedesche, nell’ XI° reggimento di artiglieria di guardia frontiera.

Trasferito a Grottaglie (Taranto), collaborò per tredici mesi alla difesa dell’ aereoporto militare e, durante un bombardamento aereo americano, venne ferito a un braccio ed a una gamba: ” Fui ferito a andai all’ ospedale, e all’ ospedale mi diedero la convalescenza. Mi diedero la convalescenza e io già sentivo il rimuginìo di questa guerra che non mi garbava …” .
Tornato a casa, venne distaccato, dopo la guarigione, nella miniera del ferro del Giglio e nell’isola fu sorpreso dall’ 8 settembre, l’infausta giornata, in cui la Corona e gli alti gradi militari, preoccupati solo di salvare la propria pelle, non si curarono minimamente della sorte del paese, stremato e invaso dalle divisioni naziste, nè dello sfasciamento dell’ esercito e del futuro angoscioso di migliaia di soldati e marinai, privi di direttive, abbandonati a sè stessi e facili prede dell’ex alleato.
Raggiunta Talamone con un veliero, Cecco fu catturato dai tedeschi, rinchiuso in un carro bestiame con molti altri commilitoni e mandato in Germania: ” Mi chiapparono, c’era un blocco dei tedeschi e la sera mi schioccarono in cima a un vagone “. Niente cibo e niente acqua per i prigionieri ammassati, nessuna fermata, nemmeno per i bisogni elementari. Ma nel carro dove c’era Cecco Barcelli una “buonanima” aveva lasciato una grossa pietra e i soldati la usarono per sfondare il robusto pavimento e fuggire dal convoglio nei pressi di Verona. Di lì, quasi sempre a piedi, in compagnia di un livornese, Cecco arrivò a Collesalvetti e a Follonica. Poi, riabbracciati i genitori, proseguì per Pian d’Alma unendosi ai partigiani follonichesi Renzo Ferretti e Sandro Iacopucci ed ai partigiani di Tirli Pesticcia, Bogana, Angiolino Levere e Fulgido : nelle settimane seguenti prese parte alle azioni partrigiane della Badiola, di Monte di Muro, di Tirli e degli Stramazzi di Pian d’Alma.
In quest’ultima località la formazione partigiana attaccò la Torre rinascimentale cacciandone i nazisti, ma questi rioccuparono l’edificio nottetempo uccidendo il giorno seguente i partigiani Renzo Ferretti ed Augusto Castelli.
Liberata Follonica, Francesco Barcelli confermò la sua adesione al P.C.I. di cui faceva parte dal 1942, quando era entrato nella cellula clandestina insieme ai fratelli Vecchiarelli, a Leontino Bianchi e a Beppe Gianneschi .
Negli anni seguenti continuò il suo destino di lavori pesanti prestando la sua opera al recupero delle scorie della Torraccia del Guazzini a Campo Ruffaldo, in Gualdo di Punt’Ala, al Salto della Capriola ed al Morticino; preparando la radica di scopa per gli sbozzi di pipe In Pian d’Alma come sui greppi del Dolcino e di Castel Maus; lavorando infine per tanti anni negli stabilimenti industriali a giro per l’ Italia.
Negli anni ’90 Francesco rifiutò la svolta liberale del suo vecchio P.C.I. aderendo senza esitazioni a Rifondazione Comunista di cui è stato un convinto e generoso militante fino alla sua scomparsa nel dicembre 2001.
Esuberante, dotato di una naturale, contagiosa simpatia, Cecco Barcelli era conosciuto anche per la sua vitalità ed i suoi trascorsi di calciatore del Follonica quando questa squadra militò nella categoria allora corrispondente alla attuale Serie C.

(Scheda di Fausto Bucci e Aldo Montalti)