Vittorio Bardini

Nasce a Sovicille (Siena) il 15 settembre 1903 in una famiglia operaia. Il padre fa il minatore, lui comincia a faticare a dodici anni in una fornace di laterizi, in seguito diventerà muratore. Trasferitosi a Siena alla fine del 1918, si iscrive al sindacato edili, conosce o frequenta nel “biennio rosso” i socialisti Dante Chiavacci, Ricciardo Bonelli e Ugo Minutelli e l’anarchico Guglielmo Boldrini, legge l’«Avanti!», «La Martinella» e l’«Avanguardia», aderisce alla Gioventù socialista e si fa notare alle agitazioni proletarie. Nel gennaio del 1921 è tra i fondatori del P.C.I. senese ed “entra a far parte del gruppo dirigente provinciale del partito”.

Bordighista come la maggioranza degli iscritti, diventa segretario della sezione di S. Andrea a Montecchio e il 4 marzo 1921 è fra i difensori della Casa del popolo di Siena, lo stabile che ospita pure la Camera del lavoro confederale. Il fatto ha sviluppi drammaticissimi. A dar manforte a una squadraccia di 30 o 40 fascisti , che hanno aggredito alcuni operai disarmati, accorre l’esercito e i militari non esitano a sparare con la mitraglia e persino con due cannoni sull’edificio camerale. Arrestato insieme al segretario confederale Giulio Cavina, a Cesare Franchi, a Giorgio Salvi (più tardi esule in Francia) , a Guglielmo Boldrini, a Luigi Cianchi e a un’altra sessantina di compagni, Bardini è sottoposto da allora a continui arresti e vessazioni che lo obbligano a rifugiarsi a Roma, dove abita un suo fratello, anch’egli comunista.

Rientrato a Siena, fa parte nel 1925 del nuovo gruppo dirigente comunista senese, insieme a Fosco Mazzoncini, Carlo Carlucci, Delfo Mannini, Vasco Lapi, Alessandro Fabbrini, Serse Guidi e Faliero Neri. Dopo l’approvazione delle “leggi eccezionali”, che cancellano la libertà di associazione e di stampa, sopprimono i partiti antifascisti, introducono la pena di morte e istituiscono il Tribunale speciale fascista, Bardini è nuovamente arrestato il 23 giugno 1927, in seguito allo smantellamento di un’estesa rete comunista, che operava nell’Emilia – Romagna e in Toscana, della quale facevano parte anche i livornesi Fortunato Landini e Armando Gigli, il pisano Alberto Collodi, la modenese Almira Ferrarini, i cecinesi Ilio Barontini  e Aristide Orsucci, i torinesi Celeste Negarville e Battistina Pizzardo (docente di matematica al Liceo ginnasio di Grosseto) e lo scarichino di carbone grossetano Assunto Aira.

Tradotto nelle carceri di Ancona, Bardini viene condannato il 27 febbraio 1928 dal Tribunale speciale fascista a otto anni di reclusione, che sconta in vari penitenziari. Liberato alla fine del 1932 (amnistia del “decennale” della marcia su Roma), riprende a Siena i contatti con i comunisti, fra i quali Metello Lorenzini, Gracco Del Secco , Enrico Giuggioli, Altero Parri e Alvaro Montigiani, poi, dopo essere stato ammonito per un biennio dalla Commissione provinciale senese per le misure di polizia, emigra clandestinamente in Svizzera al principio del 1935 . Dopo varie peripezie alla frontiera franco-elvetica, che gli costano una condanna a sei giorni di arresti da parte del Tribunale di Basilea per essersi introdotto clandestinamente nel territorio svizzero, riesce a passare in Francia e a raggiungere Parigi, dove si collega a Celeste Negarville e a Mario Montagnana e svolge una certa attività politica, prima di essere inviato dal P.C.d’I., nel giugno del 1935, a Mosca per frequentare la Scuola internazionale leninista.

In Russia incontra Palmiro Togliatti, Agostino Novella, Antonio Roasio, Giuseppe Berti, Edoardo D’Onofrio e altri dirigenti comunisti. Tornato in Francia alla fine del 1936, decide di andare in Spagna  a battersi contro i franchisti e, valicati i Pirenei, raggiunge Barcellona, da dove prosegue fino ad Albacete, la città, che ospita la principale base delle Brigate Internazionali. Qui, insieme a un centinaio di antifascisti italiani e francesi, si arruola in una batteria di artiglieria, comandata dal comunista aretino Eugenio Perugini, e prende parte, insieme all’XI Brigata Internazionale e ad altre formazioni repubblicane, ai combattimenti che si accendono intorno a Teruel. Passato nella Batteria Gramsci (febbraio 1937), affronta il nemico sul fronte del sud, in particolare a Córdoba, a Granada ed a Porcuña.

Unitosi poi alla XII Brigata Garibaldi (costituita nella primavera del 1937), partecipa all’offensiva su Huesca (Aragona) e combatte sul fronte madrileno (Guadarrama, Villanueva del Pardillo, Villanueva de la Cañada,  Brunete, ecc.). Impegnato, nella primavera del 1938, nella regione del Levante, quale commissario del gruppo Skoda, prende parte agli scontri di Caspe e Iglesiola. Trasferito, su proposta di Luigi Longo, a Madrid alla radio di Aránjuez, come redattore in lingua italiana, dopo il ritiro delle Brigate Internazionali dal fronte, disposto unilateralmente dal Governo repubblicano spagnolo, viene inviato a Valencia, insieme a 900 volontari internazionali, soprattutto tedeschi e italiani. Portatosi a Barcellona via mare, fa l’aiutante al Comando del centro italiano per la smobilitazione, poi, alla caduta della capitale della Catalogna (26 gennaio 1939), si mette in marcia, a piedi, verso la frontiera francese, insieme a mezzo milione di repubblicani spagnoli e di volontari internazionali, e il 7 febbraio 1939 entra in Francia dal passo pirenaico di La Junquera.

Preso subito in consegna dagli spahis senegalesi e dalla guardia mobile francese ed internato nel terribile campo di Saint – Cyprien (dove mancano il cibo ed i più elementari ripari e servizi – i fuggiaschi dormono nelle buche che scavano da sé nella sabbia – e le malattie imperversano), è imprigionato successivamente nei campi di Gurs e del Vernet d’Ariège (sezione C, reduci di Spagna, descritto da Arthur Koestler e da Attilio Copetti), dove rimane fino al 23 settembre 1941, quando viene consegnato dai collaborazionisti francesi di Vichy ai fascisti italiani a Mentone. Assegnato al confino per 5 anni l’8 settembre 1942 dalla Commissione provinciale per le misure di polizia di Siena, è deportato a Ventotene.

Liberato nell’agosto 1943, rientra a Siena e in seguito è responsabile del lavoro militare della Federazione comunista di Firenze. Chiamato a Milano, diventa responsabile del Comitato militare del P.C.I. per la Lombardia e comandante della III Brigata G.A.P.

Arrestato dai nazisti il 18 febbraio 1944, è incarcerato a San Vittore e torturato. Tradotto nel campo di Fossoli nell’aprile 1944, conosce Poldo Gasparotto, che viene ucciso nella struttura concentrazionaria dai nazisti, Ottaviano Pieraccini, che morirà nel campo di sterminio di Mauthausen, Guglielmo Steiner, che perderà la vita nel campo di Ebensee, Enzo Allodoli, Antolini, Pugliesi e altri.

Dopo due mesi di permanenza a Fossoli, viene deportato, in giugno, nel campo di sterminio di Mauthausen, dove, fra i prigionieri, incontra il comunista tedesco ed ex di Spagna, Franz Dahlem, già deputato al Reichstag: “ Ci guardammo in faccia. Fu lui a rompere il ghiaccio e in francese mi disse: «Ma noi ci conosciamo?». «Sì», gli risposi. Mi diede alcuni consigli. Lui occupava un posto importante nella organizzazione tecnica del campo, essendo geometra. Era ormai un sopravvissuto, gli antinazisti tedeschi, come quelli di altre nazionalità, avevano già pagato il loro tributo di vite umane, cioè il 95-96% dei loro effettivi. Oltre a dei consigli provvide anche ad aiutarci nel limite delle sue possibilità ”.

Nel campo Bardini svolge vari lavori di fatica, facendo, tra l’altro, l’operaio nelle officine per gli aerei Messerschmidt 109. Nel maggio 1945 (alla liberazione di Mauthausen) è membro – con Piero Caleffi e Pugliesi – del Comitato internazionale della direzione del campo, in rappresentanza dei deportati italiani, di cui cura l’evacuazione e il difficile rimpatrio (con transito piuttosto avventuroso per Linz, Salisburgo, Monaco, Costanza e Innsbruck, prima di arrivare a Milano). Segretario della Federazione comunista di Siena nel dopoguerra, è eletto nel Comitato centrale del P.C.I. nel gennaio 1946 (dal 9° al 12° congresso farà parte della Commmissione centrale di  controllo). Deputato alla Costituente nel 1946, due anni dopo è nominato segretario regionale per la Toscana. Nel 1951 è eletto consigliere comunale di  Firenze e dal 1953 al 1968 è deputato per la circoscrizione Siena – Arezzo – Grosseto. Presidente dell’associazione nazionale dei reduci, nel 1960 è consigliere comunale di Siena. Autore del libro di memorie: “Storia di un comunista”, edito nel 1977.

Vittorio Bardini si spegne a Siena il 30 maggio 1985.

Appendice

Un opuscolo della biblioteca di Virginia Gervasini fornisce le seguenti notizie sull’attività di Vittorio Bardini nel campo di Mauthausen:
Vittorio Bardini, Calore, Ghislandi, Vallardi, intuendo un inganno nell’invio al campo 3 si prodigarono con tutte le loro forze per salvare il maggior numero possibile di italiani… ” (Vasari, Bruno. Mauthausen, Bivacco della morte, Milano: La fiaccola, 1945, p.41),
e più avanti:
Il governo del Revier e del Lager fu assunto dai comitati internazionali e d’azione (Il C.L.N. italiano del Revier era così composto: Calore, Partito d’azione, Bardini, comunista, Micheli, socialista… ” (ivi, p.44).

(Scheda di Aldo Montalti e Claudio Gregori)