Sabatino Rosa

Nato a Montepescali il 27 marzo 1869, Rosa si trasferisce verso la fine dell’Ottocento a Scarlino, dove si guadagna da vivere, lavorando alle bonifiche del Rigiolato, del Fontino e della Lioppa, e si iscrive alla sezione socialista.
Qui sono particolarmente attivi Orazio e Ezio Agresti, che rappresentano la frazione nel Consiglio municipale di Gavorrano, quasi tutti i fratelli Volpini e Michele Toninelli, più tardi “direttore” della Cooperativa badilanti.
Scarlino è anche un paese di rimatori e poeti: lo sono Agostino Cecchi, il padre di ” Meone “, il calzolaio Annibale Duccini, che manda i suoi versi a riviste importanti, che vengono pubblicate a Torino, a Milano, a Firenze, e Giovanni Bulleri, che firma le sue poesie, anagrammando il nome in Ligerino Bulvani.
Scarlino è anche paese, dove i più vivono con le ” faccende della campagna “, prestando servizio nella Fattoria del Casone dai Rosselmini, facendosi ingaggiare dal Rosi nello scavo dei Poggetti Butelli o lavorando, con pala e ” barella “, alla bonifica dei fossi, quando il Ministero ordina che si rassettino le sponde del Rigiolato o quelle del Fontino.
E’ anche paese di vivaci passioni politiche, dove Gori ha tenuto ( e Rosa era ad ascoltarlo ), qualche anno prima, una memorabile orazione ai badilanti nelle vicinanze della stazione. O dove appaiono numeri unici quali il “Rinnovatore” e “Montjuich” e dove per qualche anno avrà sede la Federazione anarchica maremmana.

In questo scorcio iniziale del nuovo secolo il movimento socialista si sta espandendo in quasi tutta la provincia di Grosseto, si contrappone ormai, anche sul piano elettorale, ai repubblicani – che dopo la morte di Socci hanno mandato in Parlamento l’avv. Pio Viazzi – e ai conservatori. Nel 1909 appare il primo settimanale socialista della provincia di Grosseto, ” Il Risveglio “, al quale Sabatino Rosa e altri socialisti scarlinesi manderanno negli anni seguenti le loro sottoscrizioni o qualche breve corrispondenza sui problemi del piccolo centro, che porta in genere la firma dalla sezione.
Rosa è conosciuto, già nella ” Belle époque “, come un socialista convinto, pronto, all’occorrenza, a confrontarsi con gli avversari politici. Ottavio Lenzerini, che aiutava il muratore Francesco Grossi prima della grande guerra, ricorda le discussioni fra il suo datore di lavoro, di salda fede mazziniana, Sabatino Rosa e il conservatore Ugo Fossi, corrispondente in quegli anni, da Follonica, da Scarlino e specialmente dalla Cura – del ” Progresso maremmano ” di Vitaliano Nesi e della ” Tribuna “. ” All’ora di desinare si davano appuntamento tutti e tre, mangiavano alla svelta e poi si mettevano a discutere i fatti del giorno, accalorandosi e polemizzando…”, ” a quei tempi, che il cinquanta per cento delle genti ‘un andava a scuola, – conclude Ottavio – Sabatino era uno ‘scienziato’, un omo che sapeva e che ragionava con chiarezza “.

La prima guerra mondiale trova Rosa – come quasi tutti i socialisti e gli anarchici di Scarlino – fra coloro che sono fermamente contrari al conflitto. Rosa è schierato con Lazzeri e Giacinto Menotti Serrati, non si lascia lusingare da Mussolini – fino a ieri direttore dell'” Avanti! ” – e condanna il passaggio dell’uomo di Predappio dalla neutralità assoluta a quella ” attiva e operante “. Non di guerra democratica si tratta, ma di conflitto imperialistico. I lavoratori – secondo il socialista di Montepescali – devono restarne fuori, rifiutare il coinvolgimento in nome della patria. E nel gennaio del 1915 Rosa partecipa a Follonica al Convegno contro la guerra, organizzato dai sovversivi maremmani. Personaggio di spicco è, nella circostanza, il calzolaio scarlinese Baldo Bixio Cavalli, già segretario della FAM, ma ci sono anche Gioacchino Bianciardi, Adamo Petrai, Enrico Bianciardi e Angiolino Bartolommei. L’assise si conclude con l’approvazione di un odg, che minaccia lo sciopero generale insurrezionale se l’Italia scenderà in guerra.
Ma in maggio l’intervento è cosa fatta. A Scarlino si prova a impedire ai coscritti di partire, vengono abbattuti alcuni pali telegrafici e bloccati i vagoni ferroviari, c’è qualche arresto, le detenzioni si prolungano per parecchi mesi, ma sembra che non si possa far altro che obbedire. Rosa è troppo vecchio per essere richiamato. Non così suo figlio Giulio, che deve partire, come fa anche Baldo Cavalli, il quale, però, dopo qualche mese diserta, raggiungendo, clandestinamente, la Svizzera, dove viene segnalato a Bellinzona, a Zurigo e qualche volta a Ginevra. Qui sembra frequenti Sandro Conconi, Roberto Rizza e soprattutto Bertoni, che della guerra è – come Malatesta – uno degli oppositori più intransigenti.

La censura italiana, frattanto, imbianca a Grosseto le colonne del ” Risveglio ” socialista. Il giornale continua però ad uscire e da tutta la provincia – Scarlino compresa – i sovversivi ( non solo i socialisti ) si danno da fare per sostenerlo, dopo la soppressione del ” Martello “, il foglio sindacalista che veniva pubblicato a Piombino. Alla fine del 1917 Rosa manda 25 centesimi al settimanale socialista, ” salutando suo figlio Giulio che trovasi al fronte e gli altri compagni militari “, e al principio del 1918 sottoscrive di nuovo per il ” Risveglio “, insieme a Rinaldo Gaggioli, Adamo Petrai, Biagio Cavalli, Urbino Giuggioli, Orazio Agresti, Quinto Rosa, Lea Berretti, Alfredo Checchi e tanti altri compaesani.
Il 14 gennaio cade sul fronte di battaglia suo figlio Giulio. Sabatino Rosa manda 40 centesimi al foglio di Grosseto, “partecipando alla famiglia socialista la morte del suo adorato figlio Giulio, avvenuta in guerra, il 14 gennaio 1918″. Anche la sezione di Follonica invia al giornale cinque lire e 65 centesimi in onore dello scomparso.

Terminato il conflitto, Rosa è in prima fila nelle agitazioni sociali, che scuotono, anche nella Maremma, gli antichi equilibri tra le classi sociali. Nel 1919 è soprattutto l’alto prezzo degli alimenti a suscitare il malumore dei ceti più disagiati. La protesta si fa corale in luglio, quando in tutta la Maremma vengono imposti – con metodi energici e sbrigativi – i ribassi dei prezzi agli esercenti. Sono – secondo gli abbienti – le giornate dello ” svaligiamento “.
I sovversivi di Scarlino non sono da meno degli altri. Il cinque luglio formano una commissione popolare – ne fanno parte i socialisti Sabatino Rosa e Pietro Scarpettini e gli anarchici Riccardo Gaggioli, Settimo Soldi e Ottorino Macelloni – e ordinano al commerciante Stefano Petri di ribassare i suoi prezzi dal 50 al 60 per cento. La richiesta riguarda fra l’altro – racconterà il Petri – ” alcune balle di caffè San Domingo, che costavano già a me a Genova L.12,65 il kg. ” e che dovette smerciare a 6 lire il kg., ” pena di essere preso e venduto da loro “. Fra coloro che si presentano al Petri ci sono Rosa, Gaggioli, Ercole Cecchi, Orazio Agresti, Domenico Giuggioli, Ottavio Bagnai, Lea Berretti, Pasquina Masotti, Fine Cavalli, Carlo Marini e Pietro Scarpettini.
Identico trattamento viene riservato a Niccolò Travison, a Filippo Santi, a Severino Signorini, a Margherita Maestrini, a Alberto e Domenico Guelfi, ” tutti possidenti ed esercenti di Scarlino “, ai quali non resta che sottomettersi e ubbidire a malincuore, salvo denunciare nei giorni successivi il sopruso al brigadiere.
Costui avvicina – con qualche cautela – il Rosa, il Soldi, il Gaggioli e lo Scarpettini e si sente rispondere ” che effettivamente nei giorni anzidetti mentre facevano parte della commissione popolare ebbero occasione di entrare nell’esercizio del Petri e di accedere pure nella stanza sottostante all’esercizio stesso, sempre dietro invito però della moglie del Petri…”

Il 23 agosto seguente undici sovversivi vengono denunciati da quindici possidenti, fra i quali si trova Stefano Petri, secondo il cui racconto ” nei giorni 5 – 6 – 7 dello scorso mese, una Commissione che dicevasi popolare, mentre faceva gli interessi di alcuni privati, si presentò con un’accozzaglia di giovinastri muniti di fascia rossa al braccio, all’uscio della mia bottega e senza attendere scuse e preghiere mi impose sotto l’impulso delle più serie minacce la vendita a prezzi da loro stabiliti “.
Il 26 agosto Rosa, Gaggioli, Soldi, Scarpettini e Macelloni rispondono di non aver usato ” nessun atto di violenza ” ” nel disimpegno della loro missione… Per quanto riguarda l’esercente denunciante, ricordano di avere invitato il medesimo nell’Ufficio della Spett.le Soc. Coop. Agricola e Badilanti di Scarlino, al quale invito accondiscese, ed in quella occasione trattarono e concordemente stabilirono il prezzo di vendita che da allora doveva praticare per il caffé crudo, come dall’odierno calmiere municipale “. Ad ogni modo, il diciotto gennaio 1920, la magistratura si pronuncia per il non luogo a procedere e il fascicolo giudiziario, appena aperto, finisce nella polvere degli archivi.

Un anno dopo, nel gennaio del 1921, il partito socialista si scinde durante il Congresso di Livorno: l’ala comunista – il cui leader è l’ingegnere Amadeo Bordiga – si separa dai massimalisti e dai riformisti e dà vita a una nuova formazione politica, più vicina al ” verbo ” leninista. A Scarlino entrano nel nuovo partito quasi tutti i giovani, mentre gli anziani – fra loro Sabatino Rosa – rimangono fedeli a Giacinto Menotti Serrati e restano nel Psi. Ma il tempo volge a tempesta. Da un po’ ha alzato il capo nella penisola un altro movimento, quello fascista, il suo leader è Mussolini, che dirige ” Il popolo d’Italia “, i suoi seguaci – una parte provengono dall’arditismo di guerra – indossano abiti lugubri, girano armati di pistole, portano pugnali, bastoni e nerbi, assalgono in Emilia, in Lombardia, in Piemonte le sedi delle Cooperative, i Circoli sovversivi, le sezioni socialiste e comuniste, le Case del popolo, devastano, bruciano, distruggono e uccidono. In provincia di Grosseto lo squadrismo compare per la prima volta nell’aprile del 1921, un mese dopo Grosseto è già caduta nelle mani degli scherani di Castellani. Alla conquista della città, gli “italinissimi” ammazzano una decina di antifascisti.
Partecipano all’ occupazione del capoluogo anche i fascisti scarlinesi Solimeno Petri, Ennio Barberini, Preciso Giusti, detto Napoli e altri.

Dopo Grosseto c’è, a luglio, la strage tremenda di Roccastrada: qui la furia selvaggia dei ” neri ” si rovescia su una decina di persone, quasi tutte estranee alla politica, salvo l’anarchico Vincenzo Tacconi, un uomo che cammina con le stampelle ( da ciò il soprannome di “Grucci” ), al quale gli squadristi sparano e tagliano la gola.
Anche a Scarlino i ” tricolorati ” bastonano gli avversari politici, li bandiscono dal paese, li obbligano a bere l’olio di ricino, li incatenano… Aggressioni a parte, l’episodio più grave è l’assassinio di Gabriello Dani, nella sua casa del Palazzone, dove l’uomo viene ammazzato da una squadraccia composta dai fascisti di Follonica, di Scarlino e di altre località. Nessuno dei responsabili viene arrestato. Chiaro messaggio per i sovversivi, ai quali non restano che la diaspora, o l’esilio.
Riccardo Gaggioli, Stenello e Settimo Soldi se ne vanno in Francia, anche Adamo Petrai si ferma per qualche anno a Marsiglia, Angiolino Bartolommei trova incerto rifugio a Joeuf. Baldo Cavalli si trasferisce a Livorno, uno dei fratelli Volpini a Roma, mentre Sabatino Rosa resta ancora a Scarlino. E qui è ancora quando, nel 1924, i fascisti rapiscono e uccidono sul Lungotevere l’onorevole Matteotti. Alla fine di quell’anno Rosa va a stabilirsi a Roma, dove si può sperare di sfuggire alle persecuzioni. La sua seconda moglie ( si chiama Luisa Conti ed è nata a Tuscania il 25 aprile 1895 ) resta invece a Scarlino, dove il tre agosto 1925 viene arrestata dai carabinieri per aver gridato in piazza Garibaldi: ” Viva Matteotti, viva il socialismo! “. Trattenuta in carcere per un giorno, viene poi rilasciata e in seguito si ricongiunge al marito in quel di Roma, dove entrambi vivono in condizioni economiche molto modeste.

Segnalato alla Questura di Roma dai carabinieri di Scarlino nel maggio 1925 come ” pericoloso comunista “, Sabatino Rosa presenta nel 1932 un’istanza per ottenere la licenza ( il ” certificato di iscrizione ” ) per fare il portinaio. La risposta delle autorità è negativa: ” Costui – scrive il questore di Roma il 27 aprile 1932 – professa idee anarchiche e nessuna prova di ravvedimento ha finora dato. E’ da tenere poi presente la circostanza che anche la moglie del Rosa a nome Conti Luisa è di idee sovversive e che perciò non ispirano alcuna fiducia per l’autorità di p.s. Al Rosa, nell’agosto del 1930, fu per i suoi precedenti negato il passaporto per la Francia”, fu segnalato al Commissario competente ” per le misure di vigilanza ” e fu iscritto nella rubrica di frontiera al n.19425 perché gli si impedisse di espatriare, qualora si fosse presentato al confino.
In settembre il Ministero dell’Interno chiede alla Questura di Roma chiarimenti sull’esatto colore politico del Rosa. La Questura risponde il cinque ottobre che l’antifascista è stato indicato erroneamente come anarchico nella lettera del 27 aprile. La vicenda di Rosa volge ormai a conclusione: il 16 marzo 1933, a 64 anni, si spenge a Roma.

( Autore: Fausto Bucci – Follonica )