Bruno BERNINI

 

 

 

 

 

Biografia di Bruno Bernini

 

Nato nel 1919 a Livorno, impiegato. Prende contatto con il movimento antifascista a Milano.
Dopo l’8 settembre, rientra a Livorno, assume la direzione del Fronte della Gioventù e promuove la pubblicazione clandestina del giornale “Riscossa”.
Partecipa alla formazione del 10° distaccamento partigiano “Oberdan Chiesa” del quale diviene comandante (Nelusco Giachini, “Sul filo della memoria”).
Dopo la liberazione, a Livorno, nel 1944, è segretario del Movimento Giovanile Comunista e si impegna nella rinascita del Fronte della Gioventù.
Sarà poi responsabile organizzazione della Federazione del PCI.
Dal 1947 al 1953 si trasferisce a Roma, chiamato  da Enrico Berlinguer  a far parte della Direzione nazionale della Gioventù Comunista, come membro della Segreteria nazionale del Fronte della Gioventù. Farà poi parte della Segreteria nazionale della ricostituita Federazione Giovanile Comunista Italiana, che rappresenterà anche nel Comitato Centrale del PCI.

Sono anni nei quali vengono promosse tante  iniziative associative: l’Associazione Pionieri Italiani, l’Associazione Ragazze Italiane, le Avanguardie Garibaldine. Tutte iniziative che poi confluiranno nell’UISP e nell’ARCI. Di rilievo anche le diverse iniziative editoriali per ragazzi e giovani. Nel 1953 viene nominato presidente della Federazione mondiale della Gioventù Democratica. Ricoprirà questo incarico fino al 1959 quando, tornato in Italia, farà parte della Commissione stampa e propaganda del Comitato Centrale del PCI, responsabile dei giornali di fabbrica.
Dal 1961 al 1963 è nella Segreteria del Comitato regionale toscano del PCI.
Nel 1963 rientra a Livorno e sarà segretario della Federazione fino al 1972. Consigliere comunale a Livorno nel 1975. Deputato eletto nel 1972 e riconfermato nel 1976 e nel 1979.
Nel 1976 viene eletto rappresentante del Parlamento italiano nel Consiglio d’Europa e nell’Assemblea dell’Unione dell’Europa occidentale, ove assume la vicepresidenza del Gruppo comunista fino a tutto il 1983.

Decorato dal Comune di Livorno della “Livornina  d’oro”  il 19 luglio 2008 con la seguente motivazione: “Per il suo operato, sia come partigiano artefice della liberazione della sua città, sia come parlamentare nazionale artefice della ricostruzione civile, morale, politica e materiale della Repubblica Italiana, sia come delegato del Parlamento Italiano al Consiglio d’Europa artefice del processo di ricostruzione di un’identità europea fondata sui valori della libertà, della democrazia e della pace, dell’uguaglianza, del rispetto delle diversità e della coesione sociale. Un operato, il suo, che radicato negli stessi principi “genetici” della tradizione storica livornese, ha contribuito a dare lustro all’intera città di Livorno”. E’ deceduto il 16 gennaio 2013.

(Scheda a cura di ANPI- Sezione Livorno)

 

Appendice:

Ricordo di Bruno Bernini, il comandante partigiano che liberò Livorno
Il 16 gennaio 2013, all’età di 94 anni, è scomparso Bruno Bernini, comandante del famoso 10° distaccamento partigiano “Oberdan Chiesa” che partecipò nel 1944 alla liberazione di Livorno durante la seconda guerra mondiale.

Nel 2001 Bernini ha rievocato le sue memorie di comandante partigiano nel volume Livorno dall’Antifascismo alla Resistenza. Il 10° Distaccamento partigiano e la liberazione della città, che è stato edito dal Comune di Livorno, come supplemento a “CN-Comune Notizie” n. 34.

Da quel volume pubblichiamo il paragrafo dedicato alla liberazione di Livorno.
L’incontro con il Comando della V Armata americana e la liberazione di Livorno.

Liberata Quercianella, occupammo la Casa del Fascio ma non vi rimanemmo per molto tempo, poiché iniziò il bombardamento da parte dei tedeschi che si erano attestati su Castel Sonnino. Un bombardamento che si estese a tutto il paese e, perciò, da Quercianella ove ci raggiunse anche Mario Lenzi proveniente da una formazione partigiana dell’Alta Maremma, ci spostammo a Castiglioncello per prendere accordi con il Comando della V Armata e procedere alla liberazione di Livorno.
A Castiglioncello, in accordo con il Comando americano, il Distaccamento fu suddiviso in due colonne ed alcune squadre: una colonna con la partecipazione di Lanciotto Gherardi, fu impiegata per spezzare, con le Forze americane, le ultime resistenze tedesche sulla via di Popogna; un’altra colonna con la mia partecipazione, doveva procedere con le forze americane sulla via di Castellaccio. Alcune squadre infine, con la partecipazione di Alberto Vannini, dovevano rompere la resistenza tedesca a Castel Sonnino per unirsi poi alla colonna di Castellaccio, dato che i ponti di Calignaia e Calafuria erano stati distrutti dai bombardamenti.
Assunto questo assetto, con un “arrivederci a Livorno” ai partigiani delle altre colonne, ci mettemmo in cammino a fianco degli americani e, superata Quercianella, prendemmo la via di Castellaccio.
Ricordo che eravamo preceduti da avanguardie americane accompagnate da Aldo Piccini, Feliks Bikonaki e altri partigiani e procedevamo a fianco degli americani con i fucili pronti a sparare, quando di corsa ci raggiunsero costernati dei partigiani, informandoci che Eros Gelli era morto.
Nei pressi di Castel Sonnino, ove si erano asserragliati i tedeschi, si era svolto un violento scontro armato, alcuni militari americani erano stati feriti e, con una bomba, era stato colpito a morte Eros Gelli.
Era uno dei partigiani più giovani, sempre presente nella azioni più rischiose. Dopo Silvano Pizzi, Renato Pini e il tenente Labate con i suoi agenti, un’altra dura perdita: ma non potevamo fermarci e continuammo ad avanzare a fianco degli americani, sperando che fosse l’ultima dolorosa perdita. E, invece, giunti in prossimità del Santuario di Montenero, un’altra drammatica notizia ci raggiunse: Aldo Mario Piccini, giovane militare del Mezzogiorno che, disertando, si era unito al nostro al Distaccamento e Feliks Bikonaki, sottufficiale polacco prigioniero dei tedeschi che, fuggendo, si era unito a noi, erano caduti combattendo a fianco degli americani contro le retroguardie tedesche. Purtroppo, la dura legge della guerra ci aveva colpito ancora.
Ricordando il coraggio e il sacrificio dei caduti  con i capi squadra che mi erano accanto, proseguimmo il cammino e, discendendo per le “Antiche grotte”, raggiungemmo piazza del Santuario, ove tanta gente ci accolse festante e ci accompagnò fino a piazza delle Carrozze, inneggiando agli americani e ai partigiani.
Livorno era ormai vicina ma non era prudente proseguire, ci fu detto, e ci dovevamo fermare. La strada era stata cosparsa di ordigni esplosivi dai tedeschi in fuga. Gli specialisti americani, aiutati anche dai partigiani, dovevano ricercarli, farli esplodere. Inoltre il Comando americano era stato informato che i tedeschi avevano minato anche il ponte di Ardenza per farlo saltare al passaggio delle forze alleate.

Per questo dovevamo attendere: ma non fu per molto. Infatti, dopo che erano stati ricercati ed eliminati tutti gli ordigni, giunse anche la notizia che il ponte di Ardenza era stato sminato grazie all’intervento, alla rischiosa opera di ricerca e neutralizzazione delle mine, di Ettore Borghi e di alcune Squadre d’Azione Patriottica. La strada, perciò, era libera e, salvo alcuni partigiani che intendevano raggiungere prima Antignano per poi ricongiungersi a noi attraverso la via Aurelia, riprendemmo la marcia a fianco degli americani per la via di Montenero.
Il 19 luglio del ’44 entrammo in Ardenza, ove trovammo le prime macerie della guerra e tanta gente che ci accoglieva festante, come i liberatori di Livorno. Intanto, oltre ai partigiani provenienti da Antignano, da Collinaia giungevano anche dei partigiani della colonna di via Popogna.
Essi, costernati, avendo appreso dei nostri caduti, ci informarono che anche Lanciotto Gherardi era morto, caduto in combattimento, colpito per errore da una scarica di mitra di un soldato americano mentre generosamente stava soccorrendo il partigiano Francesco Lotti, ferito nello scontro con le retroguardie tedesche nei pressi de  La Palazzina.
Così, con quei partigiani e con Giachini e Raugi che mi erano accanto, ricordai che, purtroppo, quel giorno – il 19 luglio 1944 – per il Distaccamento non era solo un giorno di vittoria e di partecipazione alla festa della gente che, obbligata dai bombardamenti e dall’occupazione nazi-fascista a lasciare e abbandonare le proprie case, tornava festante nella città liberata. Per il 10° Distaccamento quello era anche un giorno di duri ricordi e di riconoscenza per Lanciotto Gherardi, Silvano Pizzi, Eros Gelli, Renato Pini, Aldo Piccini, Feliks Bikonaki e il tenente Labate e i suoi agenti, tutti caduti per la liberazione di Livorno e per contribuire a rendere libera e indipendente l’Italia.
Rovine del Duomo durante la guerra

Con questi pensieri, seguendo le direttive del C.L.N., riunii tutti i partigiani e ci mettemmo in marcia per raggiungere Colline: la gente ci salutava e con noi salutava e applaudiva gli americani, mentre veniva reso pubblico il saluto del C.L.N. – in italiano e in inglese – alle “Armate della Liberazione”. Firmato dal magg. Kait della V Armata U.S.A., esso era anche un riconoscimento per la città che, nonostante le distruzioni dei bombardamenti e le repressioni e devastazioni dei tedeschi e dei fascisti, era “in piedi”, schierata per sconfiggere il nazi-fascismo combattendo a fianco di tutte le forze Alleate.
Così, con questo riconoscimento e tra gli evviva della folla, giungemmo a Colline, dove fummo ospitati a Villa Coscera e dove ci raggiunse Dino Frangioni, il comandante “Livio”, con il quale redigemmo la “Relazione” del 10° Distaccamento. Ci richiamammo alla costituzione del Comando-tappa a Castellaccio nell’ottobre del ’43 e alle azioni di guerra delle Squadre di Azione Patriottica e dei gruppi di azione del Fronte della Gioventù, da cui poi aveva preso avvio e si era costituito il 10° Distaccamento partigiano operante nella zona di Livorno.
Dopo di che, in accordo con il C.L.N., ebbe inizio la trattativa per la consegna delle armi al Comando militare alleato. La maggioranza dei partigiani era contraria, volevano tenerle e partecipare al Corpo Volontari della Libertà che combatteva a fianco delle forze alleate per riconquistare il diritto all’indipendenza nazionale. Ma fu chiarito che, secondo gli accordi nazionali tra il Governo e gli Alleati, le domande per il C.V.L. dovevano essere avanzate a Roma e molti furono i partigiani e i patrioti che fecero la domanda.
Per cui, dopo il chiarimento, salvo alcuni che intendevano tenerle per continuare a combattere come partigiani a fianco degli americani, tutte le armi vennero consegnate; e dopo aver ricevuto il Diploma di riconoscimento firmato dal generale Alexander, il 31 luglio ’44 veniva dichiarato sciolto il 10° Distaccamento partigiano che aveva contribuito alla liberazione di Livorno. La città era liberata ma distrutta e da ricostruire, mentre continuava la guerra per sconfiggere definitivamente il nazi-fascismo e riconquistare l’indipendenza e la pace. Perciò, sciolto il Distaccamento, lasciando Villa Coscera, alcuni partigiani con Renzo Giacomelli, Alberto Maconi e Giuseppe Cantini, il primo ferito e gli altri due poi caduti nei pressi della Linea Gotica, si unirono alle forze alleate per continuare a combattere fino alla liberazione del paese.
Altri s’impegnarono con gli americani nelle squadre volontarie del lavoro per liberare dalle macerie della guerra il centro cittadino e avviare la ricostruzione della città. Altri ancora, e io tra questi, s’impegnarono in politica: tutti, per contribuire, con la fine della guerra, nella libertà, nell’indipendenza nazionale e nella pace riconquistate, alla ricostruzione di Livorno e della nuova Italia.

Liberata la città, il C.L.N. s’insedia a Villa Trossi Uberti in Ardenza: con comunisti, socialisti, repubblicani, cristiano sociali, azionisti, indipendenti e anarchici, entrano a farne parte anche democristiani e liberali, in quanto componenti dei C.L.N. di Roma e dell’Alta Italia. Il conte Lorenzo Ruelle, indipendente, stabilisce rapporti di collaborazione con il Comando militare alleato: viene proposto a sindaco Giorgio Stoppa già commissario politico della 23a Brigata Garibaldi che, preoccupato per le possibili rappresaglie tedesche e fasciste sulla sua famiglia sfollata a Montecatini, non accetta.
Quindi viene proposto il comunista Furio Diaz che, nominato sindaco il 24 luglio, con un manifesto invita la popolazione alla collaborazione con le forze alleate per “il mantenimento dell’ordine pubblico”, “per risolvere la difficile situazione alimentare” e “avviare la ricostruzione della città”. Inoltre viene nominata la giunta comunale composta da Francesco Stefanini (finanze), Alfonso Cancelli (annona e servizi), Bruno Gorelli (personale e polizia), Manlio Benetti (lavori), Silvano Ceccarini (igiene, sanità e sicurezza) e Francesco Crovetti (istruzione).
Il 29 luglio del ’44 le proposte vengono ratificate dal Comando militare alleato.
La vita cittadina si va riorganizzando, viene aperto l’Ufficio del lavoro e vengono attivati il Consorzio agrario e vari uffici di pubblica utilità.
Con la nomina degli avvocati Ugo Bassano e Giovanni Gelati, viene istituito anche il Commissariato per l’epurazione dei fascisti maggiormente compromessi dai pubblici uffici. Inoltre, il Comando militare alleato chiede al C.L.N. di avanzare anche le proposte per la nomina del Prefetto, del Vice Prefetto e del Provveditore agli studi.Nel frattempo però, giungeva a Livorno, nominato Prefetto da Roma, il dott. Francesco Miraglia e quegli incarichi vengono attribuiti su designazione governativa.
Inoltre, con decreto del 21 novembre ’44 del prefetto Miraglia, in accordo con i partiti del C.L.N., viene nominata la nuova Giunta comunale, così composta: sindaco Furio Diaz; assessori effettivi: Giorgio Campi, Dino Duranti, Luigi Cocchella, Giuseppe Barelli, Alfonso Cancelli, Francesco Crovetti, Bruno Gorelli, Manlio Benetti; assessori supplenti: Lelio Cavallini, Renato Orlandini,  Michele Carlesi, Arturo Quaglierini.
Inoltre, nel febbraio del ’45, il conte Lorenzo Ruelle, indipendente, si dimette da presidente del C.L.N. e viene sostituito dal repubblicano Fortunato Garzelli. Si accentua così il ruolo di direzione politica del C.L.N. e, in collaborazione con l’Amministrazione comunale e con il Comando militare alleato, prosegue la riorganizzazione e la ricostruzione della città,  alla quale, con la fine della guerra e con la pace, il 31 dicembre del ’45 – tra le ultime insieme a Trieste – viene restituita la piena autonomia dal Comando alleato.