1924: due anarchici ed un acrobata evadono dal Mastio di Volterra.

L’evasione di Giuseppe Parenti, Oscar Scarselli e Giovanni Urbani dal Mastio di Volterra

Il sei ottobre 1924 fu una giornata positiva per gli antifascisti e i sovversivi italiani, che, leggendo i giornali, appresero che gli anarchici Oscar Scarselli e Giuseppe Parenti erano evasi dal tetro e impressionante carcere di Volterra, insieme a Giovanni Urbani.
I mesi precedenti erano stati estremamente difficili e, per certi aspetti, tragici per i lavoratori italiani.
Sconfitti alle elezioni del 6 aprile 1924 grazie alla legge truffa di Giacomo Acerbo (approntata per incarico del capo del governo fascista Mussolini) ed alle gravissime violenze, con le quali gli squadristi avevano impedito la propaganda avversaria, nelle ore successive al voto molti antifascisti erano stati aggrediti, bastonati e persino uccisi laddove la lista delle camicie nere non aveva ottenuto risultati soddisfacenti, come era avvenuto, ad esempio, a Livorno, dove la furia dei “tricolorati” si era abbattuta sui comunisti Eletto Allegri e Mario Brondi , sugli operai, facchini e falegnami Augusto Morelli, Ezio Falleni, Sante Gioli, Giulio Catastini, Oreste Martinelli , Manlio Barsotti, Giuseppe Tarli  e Amilcare Galligani, che erano stati percossi e feriti, e infine sull’operaio socialista Enrico Baroni, di 23 anni, che “colpito a tergo” da una revolverata, sparata dagli “italianissimi”, era deceduto in ospedale l’11 aprile dopo una atroce agonia.

In giugno una squadraccia fascista capeggiata dal famigerato Amerigo Dumini aveva rapito nella capitale e assassinato il segretario del Partito socialista unitario, on. Giacomo Matteotti, che aveva denunciato alla Camera, in un memorabile discorso, i brogli elettorali, le sfacciate violenze e le sopraffazioni attuate dai seguaci di Mussolini.
I giornali fiancheggiatori del governo fascista non avevano infine mancato di prestarsi a servizi bassamente e vilmente delatori, pubblicando – era successo a Livorno e a Pisa – i nomi di coloro che, con le poprie firme, avevano consentito la presentazione della lista socialcomunista di “Unità proletaria alle elezioni del 6 aprile 1924. Tra i firmatari livornesi. i cui nomi nomi erano stati segnalati da quei fogliacci ai bastonatori fascisti, figuravano militanti della tempra di Ilio Barontini, il futuro protagonista della battaglia di Guadalajara, Alcide Lotti, Alessandro Iacoponi, Ilio, Luigi e Giuseppe Lenzi, Gino Niccolai, Angiolo Pitto, Alfredo Canessa e Armando Cantini .

Ma chi erano i tre evasi e come era avvenuta la beffarda fuga dal temuto reclusorio volterrano?

Giuseppe Parenti era un anarchico originario di Campiglia Marittima, che era stato arrestato il 30 agosto 1922 a Livorno, dove si era rifugiato perché ricercato per i fatti di Ulceratico, in cui erano rimasti feriti alcuni fascisti (uno dei quali successivamente sarebbe deceduto). Al momento del fermo nella città portuale toscana, Parenti aveva dichiarato di chiamarsi Augusto Cavalli e di essere originario di Scarlino . Le forze dell’ordine avevano impiegato 24 ore per identificarlo, poi l’avevano tradotto a Volterra, dove era detenuto da più di due anni, in attesa di un processo, che sembrava non arrivare mai.

Oscar Scarselli era un anarchico certaldese, membro di una famiglia, di cui facevano parte alcuni disertori della prima guerra mondiale, condannati dai Tribunali militari a pene molto pesanti perché avevano rifiutato il conflitto e la sua “logica”.
Coinvolto nei fatti della Fiera di Certaldo, dove aveva perso la vita suo fratello Ferruccio, anch’egli conosciuto militante libertario, Oscar aveva condotto un’aspra guerra di classe in quattro o cinque province della Toscana contro i fascisti e le forze dell’ordine, guidando la cosiddetta “Banda dello Zoppo” (così chiamata perché egli, che ne era il principale esponente, era claudicante). Poi, scioltasi la “Banda”, Oscar era passato clandestinamente in Svizzera, insieme al fratello Tito, ma le autorità elevetiche li avevano consegnati ai fascisti italiani, che avevano rinchiuso Oscar a Volterra, in attesa di un processo più volte rimandato.

Giovanni Urbani (detto “Pasqualone”) era un prigioniero “comune” per i reati commessi, ma non per le qualità fisiche francamente eccezionali. Dotato di una struttura estremamente atletica, era un acrobata, che aveva praticato con successo il ciclismo, la boxe, la lotta e la corsa. Un giornale del tempo lo descriveva come “un giovane bello, alto, robusto, dall’aspetto tutt’altro che ignobile”.
Già membro della “Banda Doneda” (dal suo capo Stefano Doneda, altro elemento non da poco ), Urbani era noto per le ripetute evasioni dalle carceri di Pisa, Caianello, Livorno e San Severo, dove era spesso riuscito ad eludere le misure di controllo e sorveglianza adottate nei suoi confronti.
La notte del primo ottobre 1924, quando misero in atto il loro piano per recuperare la libertà, Giuseppe Parenti, Oscar Scarselli e Giovanni Urbani dividevano da un po’ di tempo la medesima cella.

La fuga – è fuori discussione – era stata da loro accuratamente preparata. I tre, infatti, erano riusciti a procurarsi, con qualche complicità interna, vari arnesi, servendosi dei quali segarono le sbarre della finestra, senza che i secondini si accorgessero di nulla. Ciò fatto, discesero nel cortile interno del “Mastio”, mediante una fune, confezionata con i lenzuoli dei letti, ridotti a strisce.
Passati nel cammino di ronda del penitenziario, si calarono, con estremo coraggio, determinazione e freddezza, dal recinto del reclusorio, un muraglione alto ben 18 metri, all’esterno.
La lunga “corda” era stata fissata al muro perimetrale per mezzo di un grosso ferro piegato, che era stato tolto a uno dei letti. Allo scopo di ingannare le guardie i tre avevano lasciato, sulle loro brande, dei fantocci, fabbricati riempiendo i calzoni e la casacca con  il crine dei materassi, perché dessero l’illusione che stavano dormendo a chi fosse passato per controllare. Ai fantocci erano state applicate delle “rozze” parrucche.
Una volta fuori dal carcere Parenti, Scarselli e Urbani si collegarono certamente a una delle reti antifasciste clandestine, che favorivano gli espatrii dei compagni ricercati e che, con prudenza, ma anche con efficienza e rapidità, li fece arrivare sull’Appennino Tosco-Emiliano e passare, senza pericolosi imprevisti, in Emilia, tanto che all’inizio di novembre i fuggiaschi vennero segnalati dai giornali fascisti, con spavento e preocupazione, a Monghidoro (Bologna) e a Fiorenzuola d’Arda (Piacenza).

Poi, sempre con l’aiuto di altri sovversivi, Parenti e i suoi due compagni raggiunsero le Alpi occidentali, le valicarono (forse salendo su per impervi sentieri) e passarono clandestinamente in Francia.
Là giunto, Urbani si fermò a Marsiglia, dove venne arrestato due anni dopo e estradato in Italia con un certo clamore. La fuga gli costò un’altra condanna a qualche mese di reclusione.
Parenti si stabilì dapprima a Uchaud (Gard), poi visse per qualche tempo nel Belgio, quindi fece ritorno in Francia e nel 1931 venne arrestato dai gendarmi transalpini a Nîmes, perché i fascisti pretendevano che fosse estradato in Italia, essendo stato condannato, in contumacia, a 30 anni di carcere duro per i fatti di Ulceratico, insieme all’anarchico Astorre Tagliaferri, anche lui di Campiglia Marittima.
Gli anarchici italiani esuli a Lyon (un bel gruppo di combattenti, fra cui ricordiamo Gusmano Mariani, Attilio Scarsi, Socrate Franchi, Adriano Vanni, Italo Ragni, Umberto Rossi, Alfredo Bonsignori, ecc., quasi tutti membri del Circolo “Sacco e Vanzetti” della città dei “canuts”) avviarono immediatamente un’intensa campagna sul periodico libertario «Insorgiamo!» e intrapresero molte altre iniziative (volantinaggi, comizi, conferenze, ecc.) per informare l’opinione pubblica transalpina di quello che stava avvenendo e per impedire che Parenti venisse consegnato agli schiavisti. Dal canto suo la magistratura francese, dopo aver esaminato la documentazione prodotta da Roma, respinse l’istanza dei seguaci di Mussolini, perché i reati contestati all’esule erano di natura politica. L’anarchico campigliese rimase in Francia, dove sarebbe deceduto nel 1964.

Lasciata Marsiglia, Oscar Scarselli si spostò a Lyon, dove venne ospitato per qualche tempo dall’anarchico cecinese Alfredo Bonsignori (futuro miliziano nella guerra di Spagna nella Sezione italiana della Colonna Ascaso C.N.T.-F.A.I.) e dalla moglie di Alfredo, Corinna Michelotti, poi, per evitare un possibile arresto e per ricongiungersi al fratello Tito, che, evaso a sua volta nei pressi di Bologna, aveva trovato rifugio in Russia, si allontanò dalla Francia e riuscì a entrare (con l’aiuto, sembra, di Cesare Arganti) nell’Unione Sovietica, dove dimorava ancora nel 1942, in piena guerra mondiale.
L’evasione di Parenti, Scarselli e Urbani ebbe un’ampia eco nel mondo popolare e sovversivo e fra gli “uomini contro”, in cui non soltanto generò comprensibili entusiasmi in una fase storica difficilissima, durante la quale il governo fascista di Mussolini procedeva a passi velocissimi (con la piena complicità della monarchia sabauda, rappresentata da Vittorio Emanuele III) alla liquidazione di ogni forma di democrazia nel Paese, ma venne cantata (con prudenza e qualche concessione linguistica) dai bernescanti e dai cantastorie .
Un racconto rimato sull’evasione, che è pervenuto fino a noi ed è stato ripubblicato recentemente, recitava fra l’altro:

“Se ad ascoltarmi state, o mie persone,
d’un’evasione audace ora vi canto,
che avvenne dalla più forte prigione
e che stupor n’ha destato tanto.
Scarselli Oscar, Parenti e Urbani ancor
di questa ardita fuga furon gli esecutori

….
Quando la notte buia è già calata
e resa dalla nebbia più profonda,
passan dalla finestra spalancata
e saltan sul cammino della ronda;
poi sopra al muro riescono a arrampicar
quindici metri in alto si vengono a trovar.

Allor la corda ch’è già preparata
adattan sopra il muro della cinta:
ad uno ad uno inizian la calata
poi un breve salto e la partita è vinta.
E lestamente si dettero a fuggir
cercando che nessuno li potesse scoprir” 

 
     
( Scheda di Fausto Bucci, Simonetta Carolini, Claudio Gregori, Gianfranco Piermaria ).

Note:
1  Mario Brondi emigrò più tardi in Francia.
2  Lo scaricatore di porto Oreste Martinelli venne pugnalato alla schiena dalle camicie nere. L’uomo aveva 62 anni.
3 Giuseppe Tarli venne aggredito in via del Castellaccio a Montenero. A nerbate e con “armi da punta e da taglio” i fascisti lo ferirono al volto e alla coscia sinistra, lesionandogli i vasi  profondi: “A causa della grande perdita di sangue – si leggeva sui giornali – le condizioni del Tarli sono assai gravi”..
4 Il 12 giugno 1924 «L’unità» denunciò la delazione, di cui era macchiato «Il telegrafo», che, pubblicando i nomi dei firmatari della lista toscana di “Unità proletaria”, aveva indicato i prossimi bersagli e le future vittime alle “guardie bianche” della borghesia, che non intendeva “rassegnarsi per la proclamazione del compagno D’Amen Onorato a deputato comunista per la Toscana” e tentava “ora la più ignobile vendetta contro i proletari toscani che, ad onta di tutte le intimidazioni”, erano riusciti “ a presentare la lista del blocco di Unità proletria” e a garantirle un risultato positivo, “nonostante le più sfacciate violenze”. I fascisti “ora non disarmano  ricorrono alla vendetta, imbastendo un’idiota montatura, per dimostrare che le firme dei presentatori” non sono”regolari”. Dopo aver attribuito al procuratore del re, Diligenti, al questore Masci, al commisario Campera e all’ispettore Oliva il merito di aver avviato l’investigazione sulle presunte “irregolarità”, «Il telegrafo » –  continuava «L’unità» –  pubblica l’elenco completo  dei firmatari livornesi della nostra lista. – Da chi l’ha avuto? – Nella regione dove più che in ogni altra, si bastona e si  uccide impunemente, dove chi è noto come comunista è posto nella condizione di non poter più lavorare, né vivere, si pubblicano le liste dei condannati all’odio dei bastonatori, additandoli ai servi della borghesia” (I firmatari della nostra lista a Livorno denunciati ale guardie bianche, «L’unità», n.103, 12 giu. 1924).
5  “Gli agenti fermarono lo sconosciuto, al quale domandarono le generalità. Il giovanotto dichiarava di chiamarsi Augusto Cavalli, nativo di Scarlino di passaggio a Livorno” (L’arresto di un ricercato per il mancato assassinio di tre fascisti, «Gazzetta livornese», n.205, 1 set. 1922; Come venne arrestato un ricercato per mancdato assassinio di tre fascisti, ivi, n.206, 2 set. 1922).
6 Nato a Londra nel 1894, commesso di porto e “noto «apache»”, domiciliato a Genova, Stefano Doneda veniva descritto così: “Alto, aitante, agile e nel tempo stesso robustissimo, dalla fronte spaziosa e dai grandi occhi penetranti, Stefano Doned, il capo della banda omonima, è un bel giovane. I suoi occhi vi fissano e non c’è barba d’uomo che riesca a farli abbassare. Egli fissa chiunque con aria si superiorità e di spavalderia…”.                                                  7 La fuga dal “Mastio” di Volterra del capo della Banda dello “Zoppo” e di due suoi compagni, «Toscanafolk» (direttore: Alessandro Bencistà), n.8, mar. 2003; Racconto rimato sull’evasione. Composizione di Alberto Righi, ivi, p.62-63.