Pietro Bianconi

Nato a Piombino (Livorno) nel 1924, comincia a lavorare giovanissimo agli altiforni. Antifascista per convinzioni personali e tradizioni familiari (un suo parente, Giovanni Bianconi, era stato internazionalista e anarchico) entra, dopo l’8 settembre 1943, in una formazione partigiana insieme all’altro piombinese Luigi Tartagli. Gappista a Monterotondo Marittimo e a Piombino, nel gennaio 1944 viene condannato a morte, in contumacia, da un tribunale repubblichino “per aver organizzato a più riprese la diserzione dei giovani militari”.

Iscrittosi al Partito d’azione nel 1944, dopo la sua dissoluzione aderisce al P.S.I., pur continuando a frequentare la sede di Piombino della Federazione anarchica elbano – maremmana, dove conosce Egidio Fossi, ex miliziano nella Colonna Ascaso in Spagna, Adriano Vanni e Dario Franci, già esuli in Francia, l’anziano Alessandro Cinci, condannato per gli attentati di Monterotondo del 1892, Primo Menichetti e Chiaro Mori, disertori nella prima guerra mondiale e membri della “Banda del Prete”, e i più giovani Renato Palmizzi e Lorenzo Anselmi. Nei locali di via Pietri, Bianconi ascolta il bordighista Ottorino Perrone, antico redattore, a Bruxelles, di «Prometeo» e di «Bilan», venuto a tenere una lezione di economia politica nella città del ferro. Collaboratore di «Nuova repubblica» di Firenze, il quindicinale di Tristano Codignola, Pietro entra nel direttivo nazionale della C.G.I.L. nel 1956, poi, nel decennio seguente, partecipa alle esperienze di «Quaderni rossi» di Milano e di «Classe operaia» di Padova.
Più volte fermato nel “periodo della contestazione”, viene arrestato a Piombino il 27 dicembre 1968, insieme a altre due persone, dopo lo scoppio di una “bomba carta” su una finestra della caserma dei carabinieri. Incarcerato a Livorno per un mese e mezzo, è condannato a 10.000 lire di multa per la detenzione di un vecchio fucile da caccia e di qualche cartuccia, mentre gli altri due imputati si vedono infliggere 16  mesi di reclusione dalla Corte di assise di appello di Firenze per esplosione e danneggiamento. All’inizio del 1970 Bianconi costituisce un’organizzazione anarchica, insieme ad altri militanti piombinesi, campigliesi e follonichesi, in agosto pubblica il suo studio più importante, “ Il movimento operaio a Piombino ”, e in ottobre dà alle stampe il numero unico «Il martello», che si riallaccia idealmente all’omonimo giornale anarco – sindacalista, diretto da Riccardo Sacconi e Giulio Bacconi mezzo secolo prima. Trasferitosi a Monteverdi, in una baracca ai margini del bosco, offre ospitalità, verso la fine del 1973, a molti esuli cileni, fra cui Soto Paillacar, un anarchico, che la polizia italiana arresta nella località, insieme allo stesso Bianconi. Nella circostanza le forze dell’ordine sequestrano a Pietro la corrispondenza politica, che intratteneva con lo scrittore antimilitarista Carlo Cassola.

Per farlo liberare viene costituito, nella Biblioteca di Follonica, un Comitato, di cui fanno parte Carlo Cassola, Alfonso Leonetti, Luca Ferretti e altri militanti di sinistra. Difeso pubblicamente da Cassola e Leonetti e rilasciato dopo due anni di carcerazione preventiva, Bianconi torna all’impegno politico e alla ricerca storica, pubblicando, nel 1975, una storia della C.G.L. meridionale, quella di Enrico Russo, Nicola Di Bartolomeo e Dino Gentili e, nel 1988, il volume: “ Gli anarchici nella lotta contro il fascismo ” per l’Archivio Famiglia Berneri di Aurelio Chessa.

Nel 1991, a 67 anni, muore. La notizia della sua scomparsa suscita intenso cordoglio fra i tanti che lo apprezzavano.

( Scheda di Fausto Bucci, Michele Lenzerini, Gianfranco Piermaria )