Lelio Iacomelli

Il padre si chiama Alfredo ed è un anarchico poverissimo, che fa lo straccivendolo. Lelio nasce il ventuno agosto 1903 a Ravi e comincia a lavorare, appena ha terminato le elementari. A quattordici o quindici anni si avvicina agli anarchici di Gavorrano e Scarlino, i più noti dei quali sono Pasquale e Aggio Simoncini, Domenico Cignoni, Adamo Petrai, Francesco, Narciso e Marx Portanti, Beroldo Bianchi, Primo Menichetti e Pinamonte Barborini, e comincia a frequentare a Grosseto, dove spesso si reca, i suoi quasi coetanei Gino Savelli, Libertario Carletti, “Ceriola” Vivarelli, Comunardo Biagetti, i fratelli Tamberi e Otello Soldati, tutti membri dei Circoli Germinal e Pietro Gori.
Nel biennio rosso partecipa alle manifestazioni proletarie e di protesta, che hanno luogo in Maremma, e si fa tatuare “nell’avambraccio sinistro un disegno rappresentante una bomba con miccia, una stella nel cui centro trovasi la falce e il martello, simbolo del comunismo con una iscrizione attorno alla bomba che dice: Viva la libertà e l’anarchia”.
Iscrittosi alla Gioventù comunista, ne esce poi insieme a Otello Soldati, a Giovacchino Rossi, a Ruggero Gonnelli e a Enrico Orlandini per tornare nel movimento anarchico. “Noi diamo le dimissioni dalla Federazione giovanile comunista – dichiara Soldati al segretario dell’organizzazione comunista, il fornaio Mario Fantacci – perché abbiamo fatto un passo avanti: siamo diventati anarchici”.

Nello stesso periodo Iacomelli è imputato nei processi Vannini – Alberti – Moretti – Carletti. Le accuse di furto e appropriazione indebita non sono convincenti e il settimanale repubblicano “Etruria nuova” prende le distanze da quelle, che, in qualche misura, sembrano piuttosto montature contro gli anarchici, uno dei quali, Angiolino Moretti, il combattivo segretario della Lega dei carrettieri e barrocciai, respinge sdegnosamente gli addebiti. I dubbi crescono quando, durante un’udienza, una “donna di libero amore” di Follonica denuncia di essere stata costretta dai carabinieri a firmare delle false dichiarazioni di accusa e viene arrestata in aula. Le condanne più pesanti si abbattono su Vannini e Moretti, che esce, così, definitivamente dalla scena politica. Quelle inflitte a Iacomelli, Neri e Carletti sono più lievi, anche se non trascurabili: all’anarchico di Gavorrano toccano, infatti, nove mesi e cinque giorni di reclusione.

Espiata la pena, Lelio torna in libertà e, nel luglio del ’23, espatria clandestinamente, passando per il valico di Modane e stabilendosi nella cittadina francese di Auboué, dove, prima di lui, hanno trovato rifugio molti altri antifascisti grossetani, fra cui Adolfo Catoni, Giuseppe Maggiori, Domenico Marchettini, Francesco Faelli, i fratelli Signori e il poeta Antonio Gamberi. Nel ’25 Iacomelli tenta inutilmente di farsi rilasciare il passaporto dal Consolato italiano di Nancy, poi per due anni fa il meccanico a Lyon e nell’agosto del ’27 comincia a lavorare a Saint Villier, per un’impresa ferroviaria. Licenziato ed espulso dalla Francia nel gennaio del ’30, si sposta in Belgio, dove viene assunto da un’azienda di Liegi, ma dopo poche settimane è di nuovo disoccupato e, l’otto marzo, viene sorpreso, con una rivoltella in tasca, in una cantina di Bressoux, dove si tiene una riunione di comunisti. Arrestato, si vede infliggere dal Tribunale di Liegi una condanna a sei mesi di carcere e il il ventinove settembre viene espulso dal Belgio, dopo aver espiata interamente la pena.

Entrato in Olanda, viene arrestato e cacciato dal paese. Tornato in Belgio, ottiene il passaporto dal Consolato fascista di Liegi il diciassette marzo 1931, ma, ancora una volta senza lavoro e in totale miseria, passa in Germania e si sposta, a piedi, da Francoforte a Lipsia e a Dresda, giungendo, alla fine, a Berlino. “Egli intende proseguire a piedi – scrive l’Ambasciata italiana di Berlino il sedici luglio 1931 – per la Romania dove spera trovar lavoro con altri operai italiani che insieme a lui avevano lavorato a Liegi. Che, durante il suo passaggio attraverso la Germania, egli abbia svolto una qualsiasi attività politica, non pare. Sua unica preoccupazione sembra quella di trovare lavoro”.
Quella di Iacomelli – e di tanti altri antifascisti come lui – è, in quegli anni di drammatica crisi economica, una vita di inimmaginabili disagi. Nelle settimane seguenti il sovversivo di Ravi è segnalato a Stoccarda, a Norimberga e a Monaco di Baviera, dove, secondo il Consolato generale d’Italia, “va a giro mendicando, specie presso connazionali, e, da quanto sembra, è stato più volte arrestato per accattonaggio”.

Condannato a venti giorni di carcere perché sorpreso a chiedere l’elemosina, Lelio viene espulso dalla Germania e si sposta in Austria, dove, il venticinque maggio del ’32, si presenta al console italiano di Graz, che lo fa immediatamente arrestare dalla polizia locale ed espellere dal paese. Entrato in Ungheria, viene fermato e accompagnato subito alla frontiera iugoslava. Arrestato anche qui e condotto al confine austriaco, rientra, nell’ottobre seguente, in Francia. Qui si iscrive alla C.G.T. e cerca di guadagnarsi da vivere, facendo il muratore, ma la polizia gli è alle calcagna e lo costringe, in dicembre, a fuggire in Spagna, dove si ferma a Barcellona.

Arrestato a Gerona per la sua vita “turbolenta e randagia” e per l’ “attività comunista” che svolge, “manifestando pubblicamente sentimenti sovversivi ed antinazionali”, Lelio viene condotto alla frontiera francese il diciotto luglio 1933, insieme al comunista Giuseppe Pagnan. Rientrato illegalmente in Spagna, trova rifugio a Bilbao, dove fa il decoratore per due anni, prima di precipitare di nuovo nella più nera miseria. A Bilbao si lega a una ragazza del posto, Maria Falan, e diventa padre di una bambina, ma, nel ’35, è di nuovo arrestato ed espulso in Portogallo, da dove torna per la terza volta in Spagna. A fine anno il questore di Grosseto sollecita la sua iscrizione nel Bollettino delle ricerche quale “comunista da arrestare” e la scheda di Iacomelli appare nel “supplemento dei sovversivi”.

Sorpreso a Bilbao dallo scoppio della guerra civile, il sovversivo di Ravi si arruola il diciannove luglio 1936 nel terzo battaglione antifascista, come operaio zappatore, poi, caduta la città basca, si trasferisce a Santander con il reparto “Trabajadores” e infine a Gijón, dove il ventuno ottobre 1937 si presenta al governatore militare, dopo la resa della città ai franchisti. Arrestato immediatamente, è internato nei campi di Santoma, di Bilbao, di Santander e, infine, nel campo di San Pedro de Cardeña. Qui viene sottoposto a interrogatorio, ma non fa nomi e si limita a dichiarare: “Percepivamo una paga giornaliera di 10 pesetas, e non eravamo provvisti di alcun armamento… Sono a conoscenza che diversi italiani facevano parte delle milizie repubblicane, ma non ne conoscevo alcuno e non sono in grado di fornire notizie sul loro conto”.
Tradotto, via mare, in Italia nell’ottobre del ’38 – insieme a Benedetto Odino, Settimo Doglio, Antonio Antoni, Alberto Lupo, Paolo Poli, Mario Scherbitz, Bruno Micor, Gilio Costabeber, Francesco Ferinu e altri antifascisti italiani catturati dai franchisti – viene consegnato alla polizia fascista nel porto di Napoli.

Nuovamente interrogato, prova a difendersi, sostenendo che “prima di espatriare e dopo non sono stato mai iscritto ad alcun partito politico né mi sono occupato di politica avversa al fascismo”, ma non viene creduto e la Questura di Grosseto si preoccupa di segnalare che all’estero ha sempre tenuto una condotta turbolenta e ha svolto una certa attività comunista. Iacomelli – si legge nella documentazione – è di statura alta, di corporatura regolare, è privo della seconda e della terza falange dell’indice e del medio della mano sinistra, ha una cicatrice sulla guancia sinistra, ha fronte alta e larga.

Il venticinque dicembre Carmine Senise telegrafa, per conto del Ministero dell’Interno, al questore di Napoli, la città, dove Iacomelli è ancora detenuto: “Trattenerlo sei mesi in carcere. Assegnarlo poi al confino”. In una lettera successiva Senise ripete che l’antifascista di Ravi deve essere “trattenuto carcere per la durata di mesi sei (decorrenti dal 18 settembre u.s., giorno del suo sbarco costà dalla R. nave Aquileia), e poi assegnato al confino di polizia, sempreché per allora sia noto l’esito degli accertamenti di sicura identificazione del medesimo”.
Il venti marzo del ’39 la Commissione partenopea per il confino, composta dal prefetto di Napoli, Gennaro Sannini, dal procuratore del re Beniamino Patrono, dal vicequestore Carlo La Volpe, dal seniore della milizia Michele Bellucci e dal maggiore dei carabinieri Carlo Perinetti, assegna al confino Iacomelli (insieme al triestino Giuseppe Robba) per la durata di cinque anni in quanto “combattente antifranchista in Spagna” “pericoloso alla pubblica sicurezza”. Tradotto a Ventotene, il sovversivo di Ravi si trova – fa sapere il prefetto di Littoria, Chiarotti, il 20 marzo 1939 – in “misere condizioni e non può mantenersi mezzi propri. E’ fisicamente idoneo sopportare regime confino. Propongo sua destinazione colonia agricola”.

A Ventotene Lelio si comporta con molta dignità, limitandosi a chiedere un vestito, della biancheria e un paio di zoccoli. Dal canto suo il direttore della colonia, Marcello Guida, si pronuncia, il diciannove aprile 1942, contro la concessione di quelle povere cose.
Nel giugno seguente Iacomelli chiede di avere un medicinale, l’Ascorbina, per combattere lo scorbuto, di cui soffre da molto tempo. Il farmaco gli viene fornito. Nell’isola vive piuttosto appartato, evitando di unirsi ai gruppi comunisti e senza occuparsi, all’apparenza, di politica. Ciò nonostante, viene trattenuto a Ventotene fino al ventuno agosto 1943, quando viene rimesso in libertà e rimandato a Grosseto con un foglio di via obbligatorio. Il direttore della Colonia, Marcello Guida, fedele al suo ruolo, invita la Questura maremmana a “disporre conveniente vigilanza”.
Inizio documento
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Appendice:
No alla richiesta del confinato Lelio Iacomelli di scrivere al fratello Ebo e al padre Alfredo
“R. Prefettura di Littoria

Oggetto: Iacomelli Lelio di Alfredo – conf. pol. A Ventotene

Al Ministero dell’Interno Direz. Gen.le della P.S. Confino politico Roma

Littoria 2/3/1940

Il confinato in oggetto ha presentato istanza per essere autorizzato a corrispondere epistolarmente col fratello Ebo. La R. Questura di Grosseto, interessata per le rituali informazioni con nota N.041 del 7 andante ha comunicato quanto segue:
“”Iacomelli Ebo di Alfredo e di madre ignota, nato ad Orbetello il 27.4.1926, ivi dom.to, fratello del suindicato confinato politico, non ha precedenti negli atti di questo Ufficio e risulta di regolare condotta morale e politica…

Tenuto conto della minore età… di costui, non ritengo sia opportuno che il confinato politico Lelio corrisponda epistolarmente con il detto fratello, semplice destinatario della corrispondenza, che andrebbe in effetti sempre diretta al padre Alfredo (1), noto sovversivo, per la corrispondenza col quale questo Ufficio si è già espresso in senso negativo.””
Premesso questo innanzi, questo ufficio non darà corso alla corrispondenza restando in attesa di conoscere al riguardo le determinazioni di codesto Ministero.

Il prefetto” (1)
Note
1)Nel 1939 la Questura di Grosseto scrisse che da tempo Alfredo Iacomelli non dava “luogo a rilievi in linea politica, però, non avendo manifestato segni di ravvedimento”, era “tuttora iscritto in questo schedario politico”.

( Tratto da ” Gli antifascisti grossetani nella guerra civile spagnola” di Fausto Bucci, Simonetta Carolini, Andrea Tozzi e Rodolfo Bugiani –  Follonica 2000)