Alfeo Pietrini

Figlio di Enrico e di Rosa Franchi, Alfeo Pietrini nasce a Livorno il 17 settembre 1893, riceve i nomi di Alfeo Corriere Augusto, ma per tutti sarà semplicemente Alfeo. Dopo un’infanzia non facile, comincia a faticare, come operaio, al Cantiere Orlando, dove, abbracciate le teorie anarchiche, svolge opera di propaganda, acquisendo un notevole prestigio ed esercitando “grande influenza” sulla massa proletaria. Aderente alla Camera del lavoro sindacale, legata all’U.S.I., è contrario all’intervento italiano, ma viene ugualmente chiamato alle armi e mandato al fronte, dopo la dichiarazione di guerra all’Austria. Sconfitto l’impero asburgico, è congedato definitivamente nel 1919 e può tornare a Livorno, dove riprende a militare nelle file libertarie, svolgendo anche un intenso lavoro sindacale. Nel settembre 1920 partecipa all’occupazione delle fabbriche e fa la “guardia rossa” al Cantiere Orlando. Sostenitore del periodico anarchico livornese «Il seme», di cui è redattore Adolfo Boschi, detto “Amedeo” (un sovversivo assegnato al domicilio coatto alla fine dell’800, dopo i provvedimenti liberticidi di Francesco Crispi), l’ 8 marzo 1921 partecipa al trasporto dell’operaio socialista Paolo Venturini, morto per “infortunio sul lavoro”. I cordoni del carro funebre sono sorretti dall’on. Antonio Russardo Capocchi, presidente dell’Amministrazione provinciale, da Luigi Cecchi, segretario della Camera confederale del lavoro, da Silvio Bini e Alfeo Pietrini per la Camera del lavoro sindacale, dal dott. Marangoni e altri. Il corteo, formato da alcune migliaia di lavoratori, viene proditoriamente aggredito dai fascisti, una parte dell’apparato repressivo, dopo aver insultato e provocato gli intervenuti, percuote con i calci dei moschetti i sovversivi Mario Acconci, Adamo Breschi o Freschi, Ugo Lorenzini (che cadrà in Spagna il 4 gennaio 1937) e Giovanni Sarti, uno dei più attivi diffusori de «Il seme». Il fatto è denunciato da Lorenzini come un complotto organizzato dai fascisti e dalle forze dell’ordine.
Licenziato dal Cantiere Orlando per il suo impegno sovversivo, Pietrini emigra in Francia nel 1922, forse subito dopo lo sciopero generale antifascista del principio di agosto, proclamato dall’ Alleanza del lavoro, nel tentativo di arginare la violenza squadristica, o successivamente alla marcia fascista su Roma. Stabilitosi a Marsiglia, si collega agli anarchici italiani presenti nella città focese e nel circondario, fra cui l’antico segretario della Camera del lavoro sindacale di Piombino, Giulio Bacconi, Albino Zazzeri, Ugo Boccardi, Paolo Bonatti, Angelo Ancillotti, Giuseppe Clerico, Emilio Giammattei, Odaire Martelli, Vezio Del Nudo e Alceste Marini (gli ultimi quattro livornesi) e molti altri, diffonde il periodico redatto da Paolo Schicchi, «Il picconiere» e partecipa alle manifestazioni di protesta contro le condanne a morte di Vincenzo Sacco e Bartolomeo Vanzetti e del sovversivo spagnolo Escartin Torres.
Il 31 giugno 1927 viene schedato dalla Prefettura di Livorno, che lo descrive come persona di statura alta, dai capelli castani, la fronte alta, il mento tondo, le rughe frontali, le spalle larghe, l’espressione fisionomica “intelligente” e sottolinea la sua pericolosità: “In atto risiede a Marsiglia dove si è rivelato uno dei più violenti anarchici della città”. Nel 1910 – recita la scheda – è stato condannato a 5 giorni di reclusione per oltraggio e violenza alla forza pubblica. Al principio del 1928 Pietrini è segnalato dal console fascista di Marsiglia, secondo il quale “è sempre uno dei più violenti anarchici qui residenti. Sul suo conto viene esercitata ininterrottamente l’opportuna vigilanza, per seguirne le mosse. Risulta altresì che il Pietrini si accompagna preferibilmente all’anarchico livornese De Fusco Giuseppe”. Iscritto nella «Rubrica di frontiera» (e poi nel «Bollettino delle ricerche», supplemento sovversivi) per il provvedimento di arresto, all’inizio degli anni Trenta compare in una lunga lista – redatta dai fascisti – di militanti libertari, fra i quali sono segnalati Ugo Boccardi, Giulio Bacconi, Domenico Zavattero e altri anarchici, ritenuti pericolosissimi dal regime degli schiavisti e sospettati di lavorare alla preparazione di attentati contro i gerarchi e contro le Prefetture, le Questure, le Case del fascio, ecc., ubicate nei centri industriali, dove più gravi sono gli effetti della crisi economica mondiale.
Sempre sorvegliato, Pietrini è oggetto, nell’estate del 1939, di una comunicazione, con cui la Prefettura di Livorno chiede “la conferma” della sua iscrizione nella “«Rubrica di frontiera» per la misura di “arresto”. Durante la seconda guerra mondiale il nostro rimane in Francia, facendo perdere le proprie tracce ai fascisti e alle loro spie che, per la verità, non sono mai riusciti a sapere esattamente dove abitasse.

( Scheda di Fausto Bucci, Simonetta Carolini e Gianfranco Piermaria )