Impero ROSSI

Figlio di Michele e di Umile Petri, nasce a Suvereto (Livorno) l’8 marzo 1899.

Operaio agli Alti forni di Piombino, milita in un gruppo giovanile anarchico e il 21 agosto del ’20 viene arrestato alla stazione di Cecina per offese al re e alle istituzioni. Liberato il 6 novembre in virtù di un “non luogo a procedere”, emigra clandestinamente in Francia nel ’21 e si stabilisce a La Ciotat, vicino a Marsiglia, dove frequenta gli anarchici Domenico Venturini, Ruggero Gonnelli e Angiolino  Giachi, anch’essi esuli oltr’Alpe, e sottoscrive, nel dicembre del ’23, trenta franchi per il settimanale libertario «Fede!» di Roma, insieme a Rinforzo Marchettini, Aggio e Pasquale Simoncini, Umberto Barbi e altri compagni.

Trasferitosi in Belgio nel ’27, dimora a Montigny – sur – Sambre, a Châtelineau, a Gilly e a Acoz e diventa amico dell’anarchico massetano Italo Giannoni, incarcerato per molti mesi a Grosseto per l’affare Golino, nonostante la sua innocenza, e con il comunista dell’Argentario, Giovanni Fanciulli, che aiuta a diffondere i giornali comunisti «Il riscatto» e «Le jeune exploité». Ritenuto politicamente “molto pericoloso”, Rossi prende parte, nel ’30 (1) alle manifestazioni antifasciste, che si svolgono a Gilly e a Charleroi, e il 29 agosto del ’32 è vittima di un decreto di espulsione dal Belgio. Scortato, il 10 settembre, dai gendarmi alla frontiera e costretto ad introdursi illegalmente in Francia, viene segnalato il 14 novembre quale anarchico individualista abbonato a «L’adunata dei refrattari» di New York.

Il suo attivismo allarma la polizia di Mussolini, che il 3 dicembre del ’32 fa riprodurre 20 copie di una sua foto per finalità segnaletiche, mentre l’8 dicembre la Questura di Livorno chiede la sua iscrizione nel «Bollettino delle ricerche» per la misura del “fermo”. Un anno dopo, il 17 novembre del ’33, un documento in lingua francese ricorda che Rossi è stato cacciato dal Belgio nel ’32 per “faits de grève” e menziona, insieme a lui, i “notissimi” Ludovico Rossi, Italo Ragni, Edel Squadrani, Paolino Sirigu, Georges (Giorgio) Spinelli ed altri rivoluzionari, anarchici e comunisti, quasi tutti espulsi dalla Francia.

Stabilitosi ad Antibes, dove ha già dimorato nel ’23, Rossi aderisce al Comitato di fronte unico e partecipa ad alcune violente proteste contro i covi consolari fascisti, ciò che induce le autorità transalpine a decretarne l’espulsione dal paese il 6 marzo del ’34. Per depistare la polizia, Impero fa circolare la voce di un suo ritorno in Belgio allo scopo di riunirsi al figlioletto Enzo, che, alla morte della moglie, ha affidato a Italo Giannoni a Montigny – sur – Sambre. Invece si dirige a Marsiglia e, valicati i Pirenei con l’aiuto del Soccorso rosso, raggiunge Barcellona.

Sempre considerato un “autentico anarchico, antifascista convinto, attivo e pericoloso” e sospettato di voler mettere a segno alcuni attentati contro i gerarchi italiani, è oggetto di una serie di telegrammi che il capo della polizia fascista, Bocchini, invia, il 13 giugno, alle Prefetture, alla Questura di Roma, ai valichi di frontiera e ai porti perché venga senz’altro arrestato in caso di rimpatrio. A Barcellona Impero si collega alla piccola, ma combattiva colonia dei profughi italiani, formata, tra gli altri, da Bruno Sereni, Francesco Martini, Giuseppe Ruozi (“Tranquillo”), Enrico Dal Bo e Mario Traverso, e nell’agosto del ’34 interviene ad alcune riunioni, organizzate per svolgere una più efficace propaganda antifascista tra i marinai italiani, che fanno scalo nel grande porto catalano.

Nel ’35 lavora nella bottega di statuine di gesso della famiglia Sarti, in calle Canteros, insieme a Carlo Dante Pini e a Vittorio Elogi, e a fine anno presenta domanda di iscrizione alla sezione barcellonese della L.I.D.U., insieme all’ex comunista Paolo Psalidi e agli anarchici Giuseppe Ruozi e Pietro Ranieri. Nel giugno del ’36 aderisce al Soccorso rosso, unitamente a Pietro Bregoli, Guido Lionello, Francesco Martini e Luigi Ottini, anch’essi profughi in Catalogna.

Il 19 luglio si batte come un leone per le strade di Barcellona contro i faziosi, che si sono sollevati contro la Repubblica, e il 20 luglio partecipa all’assalto della caserma Atarazanas, dove cade il famoso anarchico Francisco Ascaso. Tra i promotori delle “pattuglie di controllo” della F.A.I., sembra che collabori attivamente, insieme a Francesco Barbieri e ad altri esuli italiani, alla “bonifica” della città dagli elementi compromessi con l’“alzamiento”. Schedato dalla Prefettura di Livorno il 22 gennaio del ’37, si arruola nella XII Brigata Internazionale “Garibaldi” e viene ferito alla testa – in circostanze poco chiare – da cinque colpi di pistola, che lo lasciano paralizzato. Ricoverato il 9 ottobre del ’38 all’ospedale di Matarò, viene trasferito in Unione Sovietica. Curato nella Casa degli invalidi di Senisa (Solnecnogorsk), dopo la seconda guerra mondiale si rivolge a Paolo Robotti, insieme a Artemio Agosti, Camillo Mismetti, Eugenio Sestu e altri ex volontari di Spagna, degenti nella medesima struttura, per essere rimpatriato.

Le domande, però, non vengono accolte non soltanto per le “gravi condizioni fisiche” di molti dei richiedenti, ma anche perché il fanatico stalinista [Robotti], conoscendo “poco” “il loro morale”, teme che, una volta tornati in Italia, possano fare dichiarazioni dannose per la “patria del socialismo”.

 

(1)Insieme a Muzio Muto, Giuseppe Bizzochi e Luigi Lazzarelli.

Scheda tratta dal volume di Fausto Bucci. Simonetta Carolini. Claudio Gregori. Gianfranco Piermaria. “Il rosso, il lupo e Lillo”. Gli antifascisti livornesi nella guerra di Spagna, Follonica: La Ginestra, 2009.