Salvatore Salvadori

Figlio di Vincenzo e Erminia Falaschi, nasce a Collesalvetti (Livorno) il 5 luglio 1884. Bracciante, si trasferisce a Piombino nel 1906, dove viene assunto negli Alti forni del ferro come operaio. In seguito aderisce alla Camera del lavoro sindacale e paga con il licenziamento la sua convinta partecipazione al grande sciopero del 1911 contro il trust siderurgico.

Militante generoso, assume la gerenza del giornale sindacalista «Il martello» di Piombino il 31 agosto 1912, mantenendola fino al 13 dicembre 1913, ed esprime, il 24 maggio 1913, la solidarietà degli anarchici locali all’Unione sindacale milanese, durante lo sciopero generale, che interessa il capoluogo lombardo. Denunciato per reati di stampa, viene condannato il 6 giugno 1913 a tre mesi di reclusione e il 19 agosto 1913 ad altri sei mesi. Emigrato clandestinamente in Francia al principio del 1914, per evitare il carcere, dalla “terra francese”, che gli “garantisce almeno la vita libera”, invita, in luglio, i lavoratori piombinesi a stringersi maggiormente, “in questo grigio momento di reazione e di impero sbirresco”, attorno “al vessillo della nostra gloriosa Camera del lavoro” e a prepararsi “alle inevitabili lotte dell’avvenire”.

Il 20 ottobre viene schedato. Il “cenno” biografico recita che, quando viveva a Piombino, professava “idee avanzate”, frequentava i “più pericolosi sovversivi” del posto e partecipava ai comizi di classe, ne ricorda il “carattere impulsivo” e la corretta condotta nei confronti delle autorità e della famiglia e sottolinea la grande influenza che esercitava sui compagni di fatica. Tornato in Italia nel 1915 grazie ad un’amnistia, viene chiamato alle armi il 5 settembre 1916 ed assegnato a un reggimento di fanteria, dal quale passa, il 19 aprile 1917, al centro mitraglieri Fiat.

Rientrato a Piombino alla fine della guerra, riprende il suo posto di lotta nel movimento operaio e nella Camera del lavoro sindacale e il 20 dicembre 1919 rappresenta i compagni piombinesi al Congresso nazionale dell’Unione sindacale italiana, che ha luogo a Parma. Avversario dichiarato del fascismo, aiuta generosamente Narciso Portanti, Angiolino Bartolommei, Vasco Sachetti, Beroldo Bianchi e altri anarchici grossetani, che si sono rifugiati a Piombino per sfuggire alle violenze degli “italianissimi”, poi, il 20 ottobre 1922, emigra illegalmente a Lione, da dove si sposta a Marsiglia. Membro del gruppo anarchico guidato da Giulio Bacconi, nel 1924 lavora alla raffineria di zucchero di Saint-Louis e frequenta Guidotto Guidotti, Celso Persici, Giuseppe Tassini, Vezio Del Nudo e altri esuli anarchici. Iscritto dai fascisti nella «Rubrica di frontiera» per la misura d’arresto, non manca, nel 1926, alla commemorazione di Pietro Gori da parte di Virgilia D’Andrea e alle proteste contro le condanne a morte di Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti.

 Nel 1927 interviene alle iniziative in favore dei detenuti politici e assiste alla conferenza di Giulio Bacconi: “Il mio comunismo”, in cui l’oratore critica il regime di terrore instaurato dai Soviet. Nel 1928 partecipa allr riunioni libertarie e collabora al giornale «L’ora nostra», che Bacconi pubblica a Marsiglia, insieme a Gino Bagni. Nel luglio del 1935 viene segnalato dal Ministero dell’Interno fascista perché a Piombino “era uno dei più noti sovversivi” e nel gennaio 1936 una sua foto viene identicata davanti alla polizia dall’ex anarchico Bruno Borghini. Nel settembre del 1938 prende parte, insieme all’anarchico senese Angelo Girelli e ai comunisti livornesi Amedeo e Mario Frosini, a un corteo che sfila per le strade di Marsiglia per protestare contro la politica estera di Mussolini e nel 1939 interviene ad alcune riunioni organizzate da Bacconi, Umberto Ceccotti e altri compagni di fede.

 Allo scoppio della seconda guerra mondiale è ancora nella grande città portuale francese, dove rimarrà per tutto il conflitto, facendo perdere le sue tracce ai nazisti e ai fascisti.

 

Scheda di Fausto Bucci, Gianna Ciao Pointer, Michele Lenzerini.