Luigi Angelo Amadei

Nasce a Lugo (Ravenna) il ventuno aprile 1904. Il babbo si chiama Giuseppe e la mamma Rosa Babini, entrambi sono contadini. Quando il piccolo ha otto mesi, i genitori si trasferiscono nella vicina Cotignola. Qui Luigi frequenta le elementari, poi comincia a fare il bracciante – è vita dura – nelle campagne circostanti.

L’undici agosto del ‘21 assiste, sgomento, all’invasione di Lugo da parte delle orde fasciste: i seguaci di Mussolini danno fuoco alla sede della Cooperativa dei barrocciai, sparano all’organizzatore socialista Aldo Capri (1), assassinano l’ardito del popolo Alberto Acquacalda (2) e feriscono i suoi compagni Luigi Manoni (3), Amilcare Morigi e Rodolfo Salvaggiani. Il mese seguente gli “schiavisti”, capeggiati da Dino Grandi e da Italo Balbo, entrano in Ravenna durante le celebrazioni del sesto centenario della morte di Dante (4), incendiano i locali della Federazione delle Cooperative, saccheggiano e distruggono la Camera del lavoro.

Il sei agosto del ‘22 l’organo del fascio ravennate, “La rivolta ideale” segnala ai camerati (sotto il titolo: “Non dimenticate”) i “pericolosissimi” sovversivi Luigi Manoni, Luigi Segurini, Lodovico Rossi, Giuseppe Ferrandi, Nello Belli, Arnaldo Guerrini, Amilcare Morigi, Viscardo Montanari, Giovanni Giovannetti, Teobaldo Schinetti, Alessandro Venturini e Bindo Giacomo Caletti, perché si “prendano cura” di loro a nerbate e a pistolate. Amadei non ha ancora vent’anni, quando il ventitré agosto 1923 gli squadristi massacrano a randellate nel comune di Argenta (Ferrara) il parroco ravennate don Giovanni Minzoni, al quale Italo Balbo aveva suggerito di impartire una “bastonatura di stile”.

Dodici anni più tardi, nell’aprile del ‘35, Luigi lascia la Romagna ed emigra a Grosseto. Qui prende in affitto una stanza in via Bengasi, 12, da un esercente di carbone, un certo Sesto Simoni, e si mantiene, sgobbando nelle campagne, dove fa spesso il “lollaiolo”. E’ persona cauta: le violenze squadristiche gli hanno insegnato a non esternare le sue convinzioni democratiche e per questo non è considerato un avversario politico dai “neri”, che nulla sanno dei suoi incontri con i comunisti Vittorio Alunno e Angiolino Rossi, da lui conosciuti a San Donato e a San Lorenzo, né dei suoi contatti con l’anarchico Italiano Giagnoni, o dei suoi propositi di recarsi in Spagna a battersi “dalla parte giusta”.
Ma come lasciare la grande galera, che è l’Italia? Per andare in Corsica – prima tappa del viaggio – serve una barca a vela e acquistarla è difficile, perché i fascisti hanno intensificato la sorveglianza, sapendo che il conflitto spagnolo ha ridato fiducia ai sovversivi. Soltanto nell’estate del ‘37 l’anarchico di Montelupo, Pietro Aureli, riesce a comprare – con le novecento lire sottoscritte clandestinamente dagli antifascisti grossetani – un’imbarcazione a vela latina, idonea alla traversata, e alla fine di agosto Amadei, Alunno, lo stesso Aureli, Giagnoni e Rossi possono salpare per la Corsica dalla falcata sabbiosa, che unisce San Rocco a Castiglione.

Il viaggio fila abbastanza tranquillo sino alle coste dell’isola e i fuggiaschi riescono ad approdare a Macinaggio, dopo che una motovedetta francese ha inutilmente minacciato di speronarli per farli tornare indietro. Subito fermati, respingono gli inviti ad arruolarsi nella Legione straniera (se lo faranno, avranno – garantiscono le autorità locali – la cittadinanza transalpina entro cinque anni) e si spostano in Francia, da dove proseguono – in ottobre – alla volta della Spagna, ad eccezione di Giagnoni, scartato perché è quasi cieco da un occhio.
Valicati i Pirenei, Amadei, Alunno e Aureli vengono portati ad Albacete, la base delle Brigate internazionali, dove già si trova Rossi e ricevono un breve addestramento militare. Incorporati nella Brigata Garibaldi, vengono mandati in prima linea, dove Luigi rimane sino al principio del ‘38, guadagnando la promozione a caporale. Tornato in licenza ad Albacete, scrive, il quindici gennaio, ai membri dell’Unione popolare italiana di Bastia (Corsica): “Carissimi compagni, ho ricevuto la vostra desiderata divertente lettera… Alunno Vittorio è ritornato dall’ospedale e sta benino per ora, ma ci ritornerà ancora perché il medico ha detto che ci occorre una nuova operazione. Capiamo bene che il malvagio fascismo ormai è in una gabbia senza uscita” e che non potrà che “arrendersi” e “piegarsi”. La lettera si chiude con “un saluto antifascista a tutti” e un evviva “al fronte popolare”.
In febbraio Amadei combatte a Campillo, in Estremadura, dove cadono Vittorio Alunno, Duilio Barbagli e il capitano Cauto, in marzo è impegnato in Aragona e, da luglio a ottobre, partecipa alla grande (ma infruttuosa) offensiva repubblicana sull’Ebro.

Il venticinque agosto del ‘38 sta ancora lottando lungo il fiume spagnolo, quando il Ministero fascista dell’Interno ordina alla Prefettura di Ravenna di schedarlo e invita la Scuola superiore di polizia a riprodurre dieci copie di una sua foto. Il cinque settembre le riproduzioni vengono trasmesse al Ministero e il diciannove settembre la Prefettura di Ravenna traccia il “profilo” di Amadei, qualificandolo come “antifascista” e descrivendolo come uomo di corporatura regolare, piuttosto piccolo (altezza m.1,63), con i capelli castani, la fronte alta, il viso bruno e l’espressione seria.

Nei giorni successivi Luigi finisce nel campo di smistamento di Torellò, insieme agli altri volontari delle Brigate Internazionali, fatti ritirare dal fronte dal Governo repubblicano spagnolo nell’illusoria speranza che Mussolini e Hitler richiamino in Italia e in Germania i contingenti fascisti e nazisti impegnati nella penisola iberica, e il quattro ottobre il suo nome compare in una lista di “miliziani rossi”, che hanno fatto parte della Brigata Garibaldi, accanto a quelli di Antonio Roca, di Antonio Vara, di Giuseppe Marini, di Antonio Pierro, del friulano Vincenzo Tonelli, di Miguel Cano, del bolognese Vittorio Suzzi (5) e di Manuel Prat. In dicembre i franchisti sfondano le linee repubblicane sull’Ebro ed è la catastrofe: il ventisei gennaio del ‘39 Barcellona cade nelle mani dei nazionalisti e comincia un esodo apocalittico, che porta in pochi giorni mezzo milione di profughi spagnoli e stranieri in Francia. Anche Amadei è tra coloro, che, nei primi giorni di febbraio, varcano i Pirenei, ma, a differenza della maggioranza dei volontari internazionali, riesce a scansare gli spaventosi campi di internamento di Argelès sur Mer e di Saint-Cyprien e a tornare in Corsica. Qui risiede, nel ‘41, a “San Nicolas, Plage Corse”, presso “monsieur Rosso Muriam”, secondo la Prefettura di Ravenna, che lo segnala, il sette luglio 1941, come anarchico nel Mod. B. Rientrato in Italia dopo la fine della seconda guerra mondiale, Amadei abita per qualche tempo a Grosseto, dove sposa una ragazza del posto, poi si sposta a Casteldelpiano, sul Monte Amiata, dove incontra varie volte Guerrino Alunno, il fratello di Vittorio.

Note

1)Aldo Capri era nato a Bologna il ventitré agosto 1880. Esponente del P.S.I., diresse nell’11 “Il risveglio, settimanale socialista della provincia di Grosseto”. Aggredito e ferito dai fascisti a Lugo, dov’era segretario della Camera del lavoro, si rifugiò a Milano nel ‘23 e, in seguito, emigrò in Francia, insieme alla moglie Ida Pavesi e al figlio Ersilio, ottenendo la cittadinanza transalpina il diciotto gennaio del ‘31. Suo figlio Ersilio venne condannato il ventitré dicembre 1928 dal Tribunale correzionale di Bruxelles a tre mesi di carcere e a cinquanta franchi di ammenda per avere aggredito alcuni fascisti italiani, insieme a Fortunato Nevicati, a Saverio Roncoroni, a Luigi (?) Mazzucchelli, a Vincenzo Aulisio, a Ottorino Perrone, a M. Forno e a François Somer e fu espulso dal Belgio e dalla Francia. Un altro figlio di Aldo Capri, Libero, morì a San Benedetto del Po il sedici dicembre 1908 (ACS, Roma, CPC, b.1052, fasc.23683; Numeri unici e periodici grossetani conservati nella Biblioteca comunale di Follonica, 1835-1987 / a cura di Fausto Bucci, Luca Ferretti e Luca Verdini, Follonica: Comitato pro ex Ilva, 1987, p.124. Aldo Capri era “titolare” del fascicolo 27525, al momento non reperibile nel C.P.C.).

2)Alberto Acquacalda nacque a Ravenna il primo agosto 1898. Il padre si chiamava Sante, la madre Maria Gattelli. Secondo la Prefettura di Ravenna, che lo schedò il due agosto 1921, Alberto godeva di “buona fama in pubblico”, si comportava bene in famiglia, aveva “buona educazione sociale” e “sufficiente intelligenza e coltura avendo frequentato il secondo corso d’istituto tecnico”, si faceva continuamente vedere con “compagni di fede comunista ed anarchica”, aveva “sempre professato idee sovversive” ed era capace di tenere conferenze. Chiamato alle armi nel ‘16, fu decorato con due medaglie di bronzo “al valore da lui meritate durante la guerra italo-austriaca nella qualità di ufficiale degli arditi”, poi, nel biennio rosso, svolse un’“attiva propaganda” rivoluzionaria nel Ravennate. Nel gennaio del ‘21 aderì al P.C.d’I. e, nei mesi successivi, prese parte “ad ogni manifestazione di partito”, esercitando “un’influenza notevole” fra i compagni di fede, “essendo stato nominato istruttore e capo squadra degli arditi del popolo in Ravenna”. Considerato pericoloso per l’attività politica che svolgeva, fu ucciso dagli squadristi l’undici agosto 1921. Dopo la seconda guerra mondiale l’Amministrazione democratica di Lugo gli ha intitolato una via della città per perpetuarne la memoria (Antifascisti nel Casellario politico centrale, Roma: Anppia, 1988, quaderno 1, p.46; Candoli, Turiddu. Test., Cervia, 5 gen. 1974, AB, M5, 10; ACS, Roma, CPC, b.13, fasc.105815).

3)Luigi Manoni nacque il ventisette dicembre 1900 a Ravenna e cominciò a lavorare nell’edilizia, dopo aver frequentato le prime classi elementari, poi aderì al P.S.I. e, il quattro maggio 1918, fu condannato dal Tribunale di Ravenna a 55 giorni di reclusione per disfattismo. Personaggio molto stimato dai sovversivi per il suo indomito coraggio, fondò a Ravenna, al principio del ‘21, un importante nucleo di arditi del popolo e passò nel P.C.d’I., diventando, in seguito, membro del “Direttorio del Gruppo comunista ravennate” ed esercitando “una certa influenza nelle masse comuniste del luogo”.
Ferito a Lugo l’undici agosto 1921, fu ricoverato in ospedale e venne arrestato con la provocatoria accusa di “omessa denuncia di armi e detenzione di esplosivi”. Di nuovo incarcerato il nove febbraio 1922, insieme ad altri membri del Comitato direttivo della Federazione giovanile comunista di Ravenna, tornò in libertà il diciassette marzo. Arrestato il primo maggio 1925 per misure di ordine pubblico, fu assegnato, il diciotto novembre 1926, al confino per cinque anni e tradotto a Favignana. Condannato dalla Pretura di Trapani a sei mesi di carcere e a seicento lire di multa per offese al capo del Governo, venne trasferito a Ustica e a Ponza. Condannato a trentasette giorni di carcere il diciotto luglio 1929 per resistenza e violenza agli agenti di pubblica sicurezza, subì, mentre era ancora al confino, un’altra condanna a due mesi e quindici giorni di reclusione per violenze e oltraggio. Tornato a Ravenna l’otto agosto 1930, venne fermato il primo settembre 1931 perché frequentava gli “ammoniti politici” Arturo Zanzi, Terzo Zannoni e Salvatore Mazzesi e fu incluso, il diciannove luglio 1932, nelle liste delle persone da arrestare in determinate circostanze. Assegnato al confino per tre anni il trentuno marzo 1933 e tradotto a Ponza, venne inserito, il ventitré giugno 1933, nelle liste degli attentatori. Denunciato il tredici marzo 1934 per violazione degli obblighi di confino e condannato, il venticinque giugno 1934, a quattro mesi di reclusione, fu rilasciato il sedici gennaio 1937 e sorvegliato fino alla caduta del fascismo (Candoli, Turiddu. Test., Cervia, 5 gen. 1974, AB, M5, 10; ACS, Roma, CPC, b.2998, fasc.14200).

4)Genosse (Gustavo Sacerdote?). Onorate l’altissmo poeta. Dante Alighieri, La Romagna socialista, Ravenna, n.1250, 10 set. 1921; Dante commemorato con le violenze e le devastazioni. La complicità dell’autorità politica, ivi, n.1251, 17 set. 1921.

5)Vittorio Suzzi nacque a Sasso Marconi (Bologna) il ventotto agosto 1900. Magazziniere, si iscrisse al P.C.d’I. in Francia, dove era emigrato nel ‘22. Attivo nel movimento sindacale, divenne segretario del gruppo comunista di Ivry nel ‘30. Arruolatosi nel Battaglione Garibaldi nell’ottobre del ‘36, fu ferito a Guadalajara, a Huesca e in Estremadura. Rientrato in Francia per curarsi, venne internato a Gurs e al Vernet. Tradotto in Italia nel settembre del ‘42, fu confinato a Ventotene. Liberato il ventidue agosto 1943, partecipò alla lotta di liberazione (Arbizzani, Luigi. Antifascisti emiliani e romagnoli in Spagna e nella Resistenza, Milano: Vangelista, 1980, p.137-138; La Spagna nel nostro cuore, 1936-1939…, cit., p.448).

Tratto da ” Gli antifascisti grossetani nella guerra civile spagnola” di Fausto Bucci, Simonetta Carolini, Andrea Tozzi e Rodolfo Bugiani –  Follonica 2000