Antonio Menci

Nato a Castiglion Fiorentino l’11 aprile 1883 [ da Guerriero (25) e Maria Ricci (26) ]e , fa il fornaio e professa principi anarchici. Al principio del Novecento si stabilisce a Piombino, dove milita attivamente nel movimento libertario. Trasferitosi successivamente a Grosseto, sottoscrive, nel luglio 1907, trenta centesimi per la tipografia de «Il libertario» di La Spezia, insieme a Firmo Biagetti, Amilcare Vecchi, Domenico Fiorentini, Mellido Ramacciotti, Pietro Fontanelli, Alessandro Carletti, Francesco Sartini ed altri sovversivi maremmani.

Il 10 settembre 1907 prende parte ad una manifestazione contro il caroviveri e l’aumento delle pigioni, organizzata sotto il Municipio del capoluogo. Ci sono tafferugli, durante i quali una donna percuote con l’asta di una bandiera un brigadiere. Il sottufficiale afferra l’asta di legno da una parte, mentre Menci la tira dall’altra e dà del “mascalzone” al graduato. I carabinieri tentano di arrestarlo, ma l’anarchico Dante Guidi accorre ad aiutarlo, gridando: “Vigliacchi” ai militi, il sovversivo Aspromonte Bennati colpisce con una bastonata uno dei militi e l’anarchico Paolino Ancarani ne prende a pugni un altro. Alla fine Menci e Guidi vengono immobilizzati, ma il capitano delle forze dell’ordine preferisce rilasciarli, “per misure di prudenza”, temendo la reazione della folla, che si è fortemente ingrossata. Raggiunto da un mandato di cattura il 4 ottobre 1907 e arrestato il 6 ottobre, Menci viene condannato a 2 mesi di reclusione, che espia interamente.

Una volta scarcerato rimane a Grosseto, dove risiede ancora al principio del 1909, quando sottoscrive 40 centesimi in favore de «L’alleanza libertaria». In seguito torna, insieme alla moglie, l’anarchica militante grossetana Assunta Becarelli [sposata il 3 settembre del 1907], a Piombino, dove firma l’11 aprile 1914, con i compagni di fede Mario Casagni e Domenico Venturini, il resoconto finanziario di un Comitato di solidarietà. Chiamato alle armi dopo l’intervento italiano e mandato in zona di guerra, sottoscrive a Grosseto, nel luglio del ’17, durante una licenza, 50 centesimi per «Il martello»,  “protestando contro i persecutori e salutando le vittime del militarismo”, insieme a Angelo Moretti, Guido Santini, Firmo Biagetti, Bruno Bartolucci, Francesco Cresti, Giuseppe Costa, Ulisse Felloni, Leonetto Barbieri, Rinaldo Lodovichi e altri. Congedato al termine del conflitto, è di nuovo a Piombino, dove fa parte del gruppo anarchico “Né Dio né padrone” ed è iscritto alla Camera del lavoro sindacale, per la quale raccoglie nel maggio 1919, venticinque lire “fra i compagni”.

Nel luglio seguente offre 17 lire “per dare vita e luce al nostro giornale Umanità nova” e il 30 agosto 1919 scrive che la sottoscrizione per le spese del processo a Domenico Venturini ha prodotto buoni risultati: “L’appello lanciato a una sottoscrizione ai compagni dell’Elba e Maremma ‘Pro processo Venturini Domenico’ ha fruttato la bella somma di L.934.85. Ringraziamno sentitamente tutti coloro, i quali hanno dato prova d’affetto per il nostro carissimo compagno che tutt’ora geme nelle patrie carceri militari di Venezia, reo soltanto di non volere uccidere per una causa che non era la sua e dopo un lungo periodo di servizio militare al fronte lasciò la casacca del soldato e si fece disertore”. Promotori dell’iniziativa sono stati lo stesso Menci, che ha raccolto circa 300 lire, Bixio Sorbi, che ha ricevuto quasi 100 lire dai compagni di Portoferraio, e un gruppo di anarchici elbani, residenti a San Francisco, che hanno fatto pervenire 272 lire.

Nel 1920 Menci è segretario del Comitato dei fornai e dei pastai di Piombino e dà prova – secondo la polizia – di essere uno “tra i più pericolosi anarchici del luogo, capace di incitare le masse alla violenza ed al disordine”, prendendo “parte attivissima a tutti i comizi e manifestazioni indette dalla Camera sindacale di Piombino, Elba e Maremma”, e capeggiando “con accanimento gli scioperi”. La caduta di Piombino sotto il giogo dei “neri” nel giugno 1922, dopo l’uccisione del fascista Salvestrini, è accompagnata dalle consuete violenze degli schiavisti, che bastonano, purgano e bandiscono gli avversari. Anche Menci fa le spese di quelle sopraffazioni, venendo aggredito dai seguaci di Mussolini, che – in venti contro uno – lo sottopongono a un selvaggio pestaggio, riducendolo in condizioni pietose. Diventata impossibile la sua permanenza nella città del ferro, il nostro si rifugia a Grosseto, dove viene assunto nel panificio della famiglia di Bernardo, Luigi e Ultimino Magini, fornai di tendenza sovversiva.

Il trasferimento non sfugge alla squadra politica del capoluogo maremmano, che lo segnala alla Questura locale il 1° aprile 1924: “Trovasi in questa città – scrive il maresciallo Giuseppe Marcantonio – da qualche tempo certo Menci Antonio fu Guerrino e di Ricci Maria, di anni 41, da Castiglion Fiorentino (Arezzo) qui abitante in Via dell’Unione Nº 26, presso Tognarini Sabatino, operaio fornaio presso Magini in Via S. Martino Nº 4. Dal suo modo di agire e dal suo parlare fa ritenere essere un pericoloso sovversivo e quasi sicuramente un militante del partito anarchico. Egli precedentemente aveva il suo domicilio a Piombino da dove, si vuole, siasi allontanato in seguito a rappresaglie fasciste”. Il 28 dicembre 1929 Menci viene fermato (come migliaia di sovversivi nell’intera penisola) alla vigilia delle nozze “lugubri” di Umberto Savoia con Maria José del Belgio e trattenuto fino all’11 gennaio 1930. Il 4 giugno 1933 è rinchiuso di nuovo in cella per “misure di sicurezza” e negli anni seguenti viene sottoposto ad assidua sorveglianza.

Lui, comunque, non si piega alla dittatura e resta fedele alle idee anarchiche, anche se non dà “luogo a rimarchi”. Il 18 giugno 1943 “Gonga” (questo il suo soprannome) si spegne a Grosseto e il 14 febbraio 1957 viene radiato dallo schedario.

FONTI: Pro Tipografia per il Libertario, «Il libertario», n.201, 11 lug. 1907; «L’alleanza libertaria», n.33, 15 gen. 1909; «Il martello», n.363, 25 apr. 1914; ivi, n.8, 28 lug. 1917; ivi, n.15, 2 ago. 1919; Menci, Antonio. Comunicati, «Il libertario»,ivi, n.34, 21 ago. 1920; I fornai e pastai, «Il martello», n.35, 28 ago. 1920; Banchi, Aristeo. Testimonianza.

( Scheda di Fausto Bucci, Michele Lenzerini e Aldo Montalti per www.radiomaremmarossa.it ).