Quisnello Nozzoli

Il padre si chiama Martino, la madre Carolina Cambi. Quisnello nasce a Lastra a Signa (Firenze) il nove aprile 1884. Una sorella (forse maggiore di lui) ha ricevuto il nome di Comunarda in onore dei caduti della Comune di Parigi, un’altra si chiama Egle, un fratello porta il nome di Aldobrando, un altro – che nasce nel 1895 – riceve quello di Artorige.
L’adolescenza di Quisnello è travagliata. A undici anni viene rinchiuso nel Riformatorio di Pisa, più tardi impara il mestiere del calzolaio e si guadagna da vivere, girovagando da un paese all’altro. Come tanti altri ciabattini abbraccia presto le idee anarchiche. Segnalato negli anni seguenti a Milano e a Genova, il sei giugno 1908 subisce una condanna a 33 giorni di carcere da parte del Tribunale di Firenze per oltraggio ai carabinieri e il ventuno luglio viene schedato. Nel Mod. A la Prefettura di Firenze scrive che è soprannominato “Occe”, che ha “espressione fisionomica truce” e che riscuote “cattiva fama per il suo carattere violento e la sua cattiva educazione”.

Non risulta – secondo il funzionario – che “sia ascritto al partito anarchico, ma ne segue e ne professa le idee mostrandosi specialmente antimilitarista. Non ha nessuna influenza nel partito” e in Signa “molti lo fuggono per il suo carattere violento e prepotente”.
Trasferitosi a Massa Marittima verso la fine dell’anno, Quisnello viene vigilato dal Quisnello QuiQQuidelegato di pubblica sicurezza, informato, il diciassette dicembre 1909, dal questore di Firenze che il calzolaio è un “pericoloso anarchico pregiudicato”. Nella cittadina medievale il calzolaio sposa Carolina Sacchetti, di quattro anni più giovane di lui, e va ad abitare con lei in via Barga, presso Noè Sorbi, poi emigra in Francia, ma il ventotto gennaio dell’11 viene condannato dal Tribunale di Marsiglia a sei mesi di prigione per un brutto reato e, a pena espiata, è espulso e accompagnato alla frontiera italiana.

Arrestato a Genova il ventotto luglio dell’11, torna a Massa Marittima, dove viene assunto nella bottega del ciabattino Giuseppe Azzi, in piazza Garibaldi, ma i rapporti fra il dipendente e il datore di lavoro degenerano rapidamente: Nozzoli malmena l’Azzi e questi lo licenzia. Passato nel laboratorio di un altro calzolaio del posto, il repubblicano Egisto Bisogni, Quisnello torna a Lastra a Signa nell’aprile del ’12 e l’anno seguente è protagonista, con un certo Alberto Biagi, di una furiosa rissa. Il Biagi ha la peggio e viene gravemente ferito, il Nozzoli, colpito a sua volta, è ricoverato, in stato di fermo o di arresto, nell’ospedale Vespucci di Firenze.
Rimesso in libertà nell’ottobre del ’13, Quisnello è di nuovo a Massa Marittima ai primi di dicembre. Ora alloggia e lavora in via Saffi e frequenta assiduamente gli anarchici del posto: Enrico Bianciardi, Ivemero Giani, Giuseppe Gasperi e Natale Boschi, tutti militanti devoti all’idea.
L’anno seguente Nozzoli è il promotore delle proteste, che hanno luogo nel centro minerario, dopo l’eccidio di Ancona (1). L’undici giugno l’anarchico capeggia “una turba di circa cento individui”, che percorrono le vie di Massa, “gridando e imponendo ai negozianti la chiusura” delle botteghe. Fra coloro, che vengono costretti a sprangare gli esercizi, ci sono il falegname Moris, costretto a mandare a casa i suoi due lavoranti Giglioli e Stefanelli, e il cassiere del Piccolo Credito Toscano, Fernando Posarelli, che obbedisce alle perentorie intimazioni dei dimostranti. Poi Quisnello e “la sua spalla forte”, il massetano Italo Targi, cercano – con “atteggiamento minaccioso” – di far chiudere al direttore del Monte dei Paschi, cav. Trabacci, l’istituto bancario, ma il funzionario risponde di no, e i manifestanti se ne vanno, dopo che Nozzoli ha minacciato “che essi scioperanti avrebbero rovesciati i banchi e gettato tutto fuori dalla finestra”.

Colpito il primo agosto da un mandato di cattura, emesso dal pretore di Massa, avv. A. Lucrezi, l’anarchico viene arrestato lo stesso giorno in via Saffi, alle 15,30, mentre Targi finisce in carcere il venti agosto. Il “processo verbale di arresto” descrive Nozzoli come un individuo di statura bassa, dal viso largo e i capelli castani, le spalle larghe, la fronte alta, le gambe diritte, i piedi piccoli e le mani callose.
Il sedici settembre il Tribunale penale di Grosseto condanna l’anarchico di Lastra a Signa a sei mesi di carcere e a 500 lire di multa e il Targi a due mesi di reclusione e a duecento lire di multa. I due si appellano, ma, il venticinque novembre, la Corte di secondo grado di Firenze porta la condanna del Nozzoli a due anni e due mesi di reclusione e cento lire di ammenda e quella del Targi a venti mesi. Il quindici gennaio del ’15, però, il calzolaio beneficia di un’amnistia, che estingue l’azione penale, e viene rilasciato.

I suoi guai con la giustizia non sono, comunque, finiti: il quindici marzo del ’16 è raggiunto da un ordine di cattura della procura di Firenze, perché deve scontare un anno, sette mesi e dieci giorni di reclusione per il ferimento del Biagi. La condanna – emessa dal Tribunale di Firenze – risale al quindici dicembre del ’14. Costituitosi il sei novembre, Quisnello sconta la pena, poi, il primo marzo del 1921 è coinvolto – a quanto pare – nei tragici fatti di Empoli: un certo numero di marinai in abiti civili, che sono diretti a Firenze per un’azione di crumiraggio ai danni dei ferrovieri in sciopero, vengono scambiati per squadristi e accolti, a Empoli, da una fitta fucileria, durante la quale otto di loro vengono uccisi. Subito dopo scattano gli arresti e fra le persone, che finiscono in carcere, c’è anche Quisnello, che resta in prigione fino all’assoluzione. Tornato in libertà, l’anarchico lascia la penisola ed emigra clandestinamente in Francia, stabilendosi a Parigi, dove alloggia, dal ventiquattro novembre 1925 al dieci giugno 1926, in un alberguccio di rue du Ruisseau, 92, insieme alla sua nuova compagna, Luisa Senesi, di Castelfiorentino. In questo periodo si fa chiamare “Henri Cartei”, più tardi userà gli pseudonimi di “Enrico Costai”, “Armand” e “Biaizac”.

Per vivere continua a fare il ciabattino, è uomo solido, ha la faccia larga, due baffi alla tartara, è sicuro di sé, ha lo sguardo pungente e ironico, non privo di alterigia. Nei primi anni di esilio Quisnello è favorevole al “movimento garibaldino”, perché è convinto, come Hugo Rolland, Alberto Meschi, Mario Traverso, Enzo Fantozzi ed altri anarchici italiani, che si possa spazzar via la dittatura mussoliniana, invadendo la penisola con una legione di antifascisti adeguatamente armati. I “garibaldini” sono collegati al colonnello catalano Macià, che prepara una spedizione in Spagna per rovesciare il “Mussolini spagnolo” Miguel Primo de Rivera. Ma fra i congiurati non mancano spie e provocatori, il più noto dei quali è un degenere nipote dell’eroe dei due mondi, Ricciotti Garibaldi, da tempo al soldo della polizia fascista. Così la spedizione di Macià sfuma fra polemiche furibonde e il movimento anarchico esce dalla vicenda profondamente lacerato.
Nei primi mesi del ’30 Nozzoli vive a Bruxelles, suscitando, con i suoi comportamenti politici, le preoccupazioni dei fascisti italiani e inducendo il prefetto di Firenze a chiedere ai colleghi di Roma, di Genova e di Livorno di controllare la corrispondenza diretta a Aldobrando Nozzoli, residente a Livorno, a Egle Cartei Nozzoli, che abita a Genova, e a Comunarda Nozzoli Langianni, dimorante a Roma: “I predetti sono rispettivamente fratello e sorelle del fuoruscito in oggetto, inserito nella rubrica di frontiera al n.3270, attualmente residente nel Belgio, ove svolge notevole attività antifascista”.

Verso la fine dell’anno Quisnello è segnalato a Parigi, dove talvolta assiste alle riunioni dei socialisti massimalisti, organizzate da Elmo Simoncini e da Siro Burgassi. “Egli risiederebbe – recita una spia dell’Ovra nel febbraio del ’31 – al n.3, avenue du bel Aire – Georges Les Gonesse (Seine-et-Oise). Detto individuo sarebbe nativo di Lastra a Signa (Firenze) ove, a suo tempo, sarebbe stato a capo di quegli ambienti anarchici. Il Nozzoli sarebbe in relazione con esponenti (Napoleone Fabris, Salvi ecc.) del gruppo massimalista Balabanoff”.
Alla fine del ’32 Quisnello fa il ciabattino a Parigi, in rue Sevigné, 5, ed è membro di un Comitato, che è sorto per aiutare Rodolfo Finocchi, detto “Bagnoli”, il quale rischia di diventare cieco. Del Comitato fanno parte Enzo Fantozzi, Carpiano Penni e Edoardo Pancrazi. Finocchi è un anarchico fiorentino, che, una decina di anni prima, in un teatro di Firenze ha tirato una revolverata in faccia a un caporione fascista, certo “Pascià”, sottraendosi poi all’arresto, come riferisce la polizia fascista, per la quale non è invece del tutto chiaro se il Nozzoli coinvolto il primo marzo 1921 nei sanguinosi fatti di Empoli fosse Quisnello o suo fratello Artorige.

Contrario alla nascita di una Federazione anarchica dei profughi italiani, auspicata invece da Camillo Berneri, Savino Fornasari, Amleto Astolfi, Remo Franchini e Leonida Mastrodicasa, Nozzoli è persona molto diffidente – la vicenda “garibaldina” lo ha “scottato” – e neppure “Gori, da Pistoia, suo compagno di fede” riesce ad avere da lui l’indirizzo di un non meglio precisato Firmino.
Nell’aprile del ’33 i fascisti attribuiscono al repubblicano Silvio Schettini un progetto terroristico: secondo la loro spia Consani, lo Schettini avrebbe chiesto a Quisnello “se il suo gruppo anarchico disponesse di uomini fidati, decisi a tutto e pronti a partecipare ad un’azione in grande stile contro il fascismo” e quest’ultimo avrebbe risposto che “nel Regno presto si farà piazza pulita, poiché si lavora amorevolmente ed intensamente per riuscire in tale bella idea”. Ma nelle informazioni dell’ex socialista, passato nel libro paga dell’Ovra e preoccupato solo di spillare denaro ai suoi “datori di lavoro”, non c’è nulla di vero.

Sul tema degli atti terroristici Consani insiste in un rapporto datato tredici giugno: “Cartei ha abbandonata la riunione: altri lo seguiranno. Secondo Cartei gli anarchici debbono, anziché formare Federazioni, tornare all’azione. La azione è l’attentato individuale. Gli uomini dannosi si sopprimono. Si deve sopprimere Mussolini. L’attentato di Lucetti fu preparato dagli anarchici a Parigi. Balbo, a Parigi, avrebbe dovuto essere ucciso. Sei uomini di buona volontà uccideranno Mussolini. Egli vuole questo. Cos’è la vita di sei uomini di fronte alla liberazione di Italia?” La spia conclude così il suo interessato delirio: “Io credo che le idee di Cartei siano buone. Agire, bisogna! E noi non dobbiamo essere gli ultimi. Egli vorrebbe l’unione di tutti gli uomini decisi alla azione: perché no?” Consani segnala poi un articolo di Amleto Astolfi, apparso su “Lotta anarchica”. L’anarchico milanese, coinvolto nel tremendo attentato del Diana, ha scritto che “le vecchie o nuove concezioni organizzative od antiorganizzative che se sono state forse utili ieri e se saranno forse utili domani non lo sono certamente oggi, non lo sono certamente nei momenti in cui val più il gesto disperato e magnifico di Schirru che non tutte le più ben partorite tattiche dell’universo”.

Nel ’35 Nozzoli frequenta ancora i compagni di idee, che risiedono a Parigi, ed è sorvegliato da due spioni: il già citato Consani e il famigerato “Bero”. Costoro progettano lo scasso della sua calzoleria per impadronirsi degli elenchi dei compagni, che egli incontra, e dei verbali delle riunioni libertarie, che si tengono nel locale: per realizzare il piano vorrebbero assoldare un noto ladro, ma il Ministero non è d’accordo, perché il rischio di uno scandalo internazionale è troppo grosso a fronte del modesto risultato, che si potrebbe ottenere.
Nell’estate del ’35 i fascisti attribuiscono a Quisnello l’intenzione di compiere un “atto pazzesco” contro il regime di Mussolini, poi scrivono che il calzolaio cerca di procurarsi i timbri per fabbricare i passaporti ai compagni, colpiti da misure di espulsione. Il primo dicembre l’anarchico (che usa di nuovo lo pseudonimo di “Occe”) partecipa a una riunione, organizzata da “Giustizia e libertà” nella sala Lancry di Parigi, alla quale sono presenti Carlo Rosselli, Alberto Cianca, Guglielmo Ricci (2), Emilia Buonacosa, Oreste Abbruzzetti, Mario Angeloni, Egidio Fossi, Angelo Monti, Bruno Pierleoni e molti altri antifascisti, poi, il tredici gennaio del ’36 viene arrestato per aver violato il decreto di espulsione, da cui era stato colpito nel lontano 1911, e il ventotto gennaio è condannato a due mesi di carcere.

Scontata la pena, lascia la Francia e si ricongiunge al fratello Artorige, a Barcellona. Nel luglio seguente i fascisti italiani si sforzano di rintracciare il “pericoloso anarchico” nella capitale della Catalogna, ma le ricerche devono essere sospese, perché, il diciassette luglio, i militari si sollevano contro il Governo repubblicano spagnolo e a Barcellona ha luogo una radicale rivoluzione sociale ed economica. Come altri antifascisti italiani, che si sono stabiliti in Catalogna, Quisnello dà il suo contributo all’epica lotta, che si chiude con lo schiacciamento dei rivoltosi e la cattura del generale fazioso Goded, e il venti luglio aderisce al Comitato anarchico italiano, che si è formato nella capitale della Catlogna. Nulla attesta, invece, che collabori – come fanno, invece, altri esuli italiani – alla “bonifica” della città dai “faziosi” superstiti e dai cecchini fascisti.

In ogni modo Quisnello dà prova di un attivismo persino maggiore di quello di suo fratello Artorige, che nell’ultimo scorcio di luglio gira “per le vie di Barcellona armato di sciabola e con un fazzoletto rosso attorno al collo per dimostrare i suoi sentimenti di simpatia al movimento anti-falangista”. Interrogato a Firenze il sedici maggio del ’41, Artorige dichiarerà che in un caffè, vicino alla sede della F.A.I., “conveniva anche mio fratello Quisnello, il quale, contrariamente a me, che rimasi a Barcellona per difendere i miei interessi, si arruolò nelle milizie rosse recandosi al fronte in un reparto di sussistenza quale calzolaio”. Quisnello si aggrega infatti alla Colonna anarchica di Antonio Ortiz, che, il venticinque luglio, conquista la città di Caspe e vi insedia il Consiglio di difesa dell’Aragona (3).
Nelle settimane successive Nozzoli fa la spola tra la Spagna e la Francia per ingaggiare volontari e procurare armi ai miliziani e in settembre è di nuovo a Barcellona, dove, secondo “Bero”, “forse combatterebbe nelle file della F.A.I.” Il due ottobre la Divisione polizia politica conferma “che il noto anarchico Nozzoli Quisnello di Martino, sedicente Cartei Henri, già residente a Parigi, troverebbesi in atto a Barcellona e probabilmente a combattere nelle file della Federazione anarchica iberica contro i nazionalisti” e il venticinque ottobre un confidente scrive da Barcellona che l’anarchico Domenico Ludovici (4) è giunto nella città insieme a Nozzoli: “Quisnello si dichiara anarchico militante trionfante. E’ stato espulso dalla Francia ed ora è qua a Barcellona privo di qualsiasi documentazione”. Sia Ludovici che Nozzoli – insiste la spia – sono “violenti e pericolosi”.

Il calzolaio di Lastra a Signa rimane in Spagna sino alla fine del ’37, poi rientra a Parigi, dove si tiene cautamente in disparte, per evitare un altro arresto, vista la perdurante validità del decreto di espulsione del 1911, quindi, nell’agosto del ’39, viene segnalato a Cuba e, infine, nel Messico. Il diciassette dicembre dello stesso anno la Divisione polizia politica scrive che “Quisnello Nozzoli di Martino e fu Carolina Cambi, nato a Lastra a Signa il 9 aprile 1884, calzolaio, soprannominato “Occe”, avrebbe preferito lasciare la Francia con un convoglio di ex miliziani rossi diretti al Messico, ove attualmente si troverebbe”. Dopo la fine della seconda guerra mondiale, Nozzoli rientra in Italia e nel ’48 abita a Segni (Roma), da dove rinnova, il ventinove febbraio, l’abbonamento a “Umanità nova”, spedendo seicento lire all’amministratore del giornale (5).
Inizio documento
Appendice:
Deposizione del cav. Fabio Trabacci
Quisnello Nozzoli e Domenico Ludovici a Barcellona nel 1936
Note
1)Il sette giugno 1914 le forze dell’ordine spararono ad Ancona su un gruppo di manifestanti, uccidendo Nello Budini di 17 anni, Antonio Casaccia di 24 anni e Attilio Giambrignoni di 22 anni (Franchini, Remo. La settimana rossa, ivi, n.23, 7 giu. 1959; Una nuova lapide ai caduti della settimana rossa, Umanità nova, n.23, 5 giu. 1960; 50º della settimana rossa, Lucifero, n.11, 7 giu. 1964; Sternini, Amilcare. Dalla settimana rossa alla guerra rivoluzionaria, ivi: Nenni, Pietro. I morti di Villa Rossa, ivi; Dalla Valle, Tino. Le giornate rosse di G.B. Pirolini, ivi).

2)Guglielmo Ricci nacque a Fano (Pesaro) il venti aprile 1907, frequentò le prime classi dell’Istituto commerciale cittadino e, nel ’21, fu tra i fondatori del fascio locale. L’anno seguente partecipò alla marcia su Roma, poi si accostò alla dissidenza fascista e nel ’30 aderì al gruppo clandestino di “Giustizia e libertà”, formato – a Pesaro – da Bruno Lugli, Ubaldo Pagliarano e Franco Boni. Nell’estate del ’34 emigrò clandestinamente in Svizzera insieme a Bruno Lugli, poi si trasferì in Francia, dopo essere stato espulso dal territorio elvetico “perché sorpreso a gettare manifestini sovversivi nelle automobili italiane presenti a Lugano”. Dalla Francia scrisse ai familiari il ventitré novembre del ’34 che, fino “al 1932, in Italia, il numero dei cittadini tradotti al Tribunale Speciale è stato di 3.500, il numero dei condannati 2.000, il numero dei confinati 3.000, il numero degli anni distribuiti 12.000… Molti di questi arrestati li hanno fatti diventare tubercolosi, ciechi o pazzi; questi sono i bilanci e la prova della loro magnanimità! Questa è la nuova umanità! Questa è la fine dell’avvocato Umberto Terracini, del professore Gerolamo Li Causi, dell’avvocato Sandro Pertini, dell’avvocato Rosolino Ferragni, del dott. Mauro Scoccimarro, del dott. Francesco Fancello, del capostazione Isidoro Azzario, ecc.”
Nell’agosto del ’36 Ricci si unì alla Colonna Italiana e combatté a Monte Pelato. Di nuovo in Francia nel mese di ottobre, scrisse alla madre il ventidue marzo del ’37 che quello “che noi vogliamo fare ai grossi capitalisti essi lo fanno a tutti indistintamente, anzi più ai piccoli che ai grandi, perché i grandi trovano sempre la maniera di sfuggire, o di far riversare sugli altrile imposte a loro applicate. E’ la famosa legge che il grosso mangia il piccolo. E l’unica soluzione è quella: di eliminare i grossi per far vivere i piccoli: collettivizzazione dei mezzi di produzione e passaggio all’economia distributiva…”
Il dieci aprile Ricci fu schedato. Nel Mod. A la Prefettura di Pesaro segnalò il suo “carattere ribelle”, la sua “svegliata intelligenza” e la sua “buona cultura generale”: “Ancora in giovane età fece parte delle squadre fasciste d’azione, dimostrandosi però fanatico ed esaltato. In seguito si allontanò dal Partito Fascista adducendo vi fossero stati ammessi alcuni ex sovversivi. Però tale sua dichiarazione fu una scusa perché subito dopo cominciò a manifestare grave avversione al Regime e mai più modificò tali suoi sentimenti”.
Arrestato a Parigi nel ’38 per violazione di un decreto di espulsione, Guglielmo venne tradotto nel campo di internamento di Rieucros, da dove rispose alla madre l’otto giugno del ’39 che quanto “pubblica il giornale “Corriere della sera” sui campi di Gurs, di Argelès e d’Algeria è verità che ci risulta da lettere e giornali che ci giungono. Questo scandalo ha già varcato gli oceani e commissioni americane, che hanno visitato i luoghi, hanno dato diffusione di questi fatti alla stampa americana e mondiale in seguito. Qua fortunatamente, salvo qualche piccolo incidente, il trattamento è umano, anzi gli ispettori di polizia che ci hanno in consegna, cioè che ci sorvegliano, sono brava gente, comprendono e scusano molte cose. Non ci sono recinti e non vi sono senegalesi a guardarci, è una gran tenuta come l’Imperiale sul monte San Bartolo a Pesaro…”
Trasferito nel campo di sorveglianza speciale del Vernet, fece sapere alla madre l’otto gennaio del ’40 che ad “ogni modo la mia decisione è presa; ho scritto una lunghissima lettera al capitano delle informazioni spiegandogli il mio caso e dicendogli chiaro e tondo che se il diritto d’asilo consiste nel tenermi in un campo ancora per lungo tempo, io, in tal senso, preferisco far ritorno e sottomettermi alle leggi del mio paese che, se pur sono rigide, hanno almeno il merito di essere chiare. Attenderò una sua risposta fino alla fine della presente settimana e nella peggiore delle ipotesi scriverò in seguito al console di Tolosa per chiedere il mio rimpatrio”.
In un’altra lettera alla madre, datata 16 febbraio, si legge: “Da quest’ultima tua corrispondenza comprendo che siete dietro a brigare qualcosa in mio favore, chiedendo una grazia o qualcosa di simile. A tale proposito vorrei dirvi semplicemente che io di grazie non ho bisogno poiché non ho fatto nulla che la mia coscienza abbia a rimproverarmi e quando io mi sento a posto colla mia coscienza di uomo trovo inutile che altri chiedano grazie per me…” E più avanti: “…io non sono mai stato e non sarò mai un arrivista e neppure un aspirante al grado di caporale, sono sempre stato e sono solamente un libero pensatore, amante della verità”. Favorevole al rimpatrio, tornò in Italia il venti luglio del ’40 e venne confinato a Ventotene, dove rimase fino al diciotto agosto 1943 (CS, Roma, CPC, b.4304, fasc.119431; La Spagna nel nostro cuore, 1936-1939…, cit., p.391; Lucioli, Roberto. Gli antifascisti marchigiani nella guerra di Spagna (1936-1939), [Ancona]: Anpi, Marche; Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nelle Marche, 1992, p.110-111)

3)Su Ortiz e sulla Colonna, da lui guidata, si legga l’accurato studio di: Márquez Rodríguez, José Manuel. Gallardo Romero, Juan José. Ortiz, general sin dios ni amo, Barcelona: Hacer, 1999, p.110-126.

4)Domenico Ludovici nacque il due settembre 1884 a Pesaro, dove, terminate le elementari, si mise a fare lo scalpellino, ricavando da quel duro mestiere “i mezzi di sussistenza”, finché non si dedicò al taglio dei vetri per gli orologi. Anarchico militante, frequentava, al principio del Novecento, “la compagnia delle persone che più si mostra[va]no pericolose per i loro principi politici”, aveva “una discreta influenza sui compagni di fede” e si comportava “con rispetto” verso la famiglia. Chiamato alle armi per il servizio di leva, venne assegnato, il ventuno settembre 1905, alla prima Compagnia di disciplina, “siccome sovversivo pericoloso”, e il venti settembre 1907 fu schedato dalla Prefettura di Pesaro. A fine anno raggiunse la sorella Anna e il cognato Pietro Biscaccianti, che lavoravano in un lanificio di Lyon, e rimase nella città rodaniana per sei mesi. Tornato in Italia, partecipò, il ventisette settembre 1908, al Convegno interprovinciale anarchico di Pergola, poi, il ventuno maggio 1909, emigrò in Svizzera, insieme alla moglie Vittoria Mascellini, fermandosi a Saint-Blaise (Neuchâtel), dove dette vita a un gruppo libertario.
Legato al direttore del “Risveglio anarchico”, Luigi Bertoni, svolse a Neuchâtel, a Fleurier, a Travers e a Saint-Blaise un’attività politica molto intensa e l’undici aprile 1912 fu segnalato come “uno dei più attivi propagandisti del gruppo anarchico”. Rimpatriato nel settembre del ’14, tornò in Svizzera al principio del ’15 con la moglie e i due figli, Brenno e Ferrer, e negli anni seguenti aiutò i disertori e i renitenti italiani, che si rifugiavano nel territorio della Confederazione. Rimasto in Svizzera, dopo la fine della guerra, venne incluso nella Rubrica di frontiera nel ’29. Accusato dalle spie fasciste di preparare un attentato contro la Delegazione italiana al Consiglio della Società delle Nazioni, lasciò il territorio elvetico nell’agosto del ’32. Nella circostanza il Ministero dell’Interno telegrafò ai prefetti italiani “che noto anarchico Ludovici Domenico, iscritto rubrica frontiera n.14077 et iscritto bollettino ricerche 5.6.1931 n.127/4558, sarebbe partito da Ginevra diretto Regno stop. Pregasi impartire disposizioni per conseguire di lui fermo trattandosi di sovversivo pericoloso capace atti delittuosi”. Ludovici aveva raggiunto invece Parigi, dove rimase fino alla metà del ’35, lavorando alla riorganizzazione del movimento libertario, insieme a Remo Franchini, a Virgilio Gozzoli, a Amleto Astolfi, a Savino Fornasari, a Lorenzo Gamba, a Guido Schiaffonati e ad altri compagni di idee. Di nuovo in Svizzera dalla seconda metà del ’35, continuò a manifestare il suo “violento odio al regime fascista” e, nell’agosto del ’36, si recò in Spagna, dove combatté a Monte Pelato e sostituì – secondo gli informatori dell’Ovra – Ernesto Bonomini “nell’incarico (non bene precisato) da questi ricoperto nelle organizzazioni anarchiche di quella città”, poi fece la spola fra Barcellona, Marsiglia e Parigi.
Dopo l’assassinio di Berneri, Ludovici si occupò, insieme a Aldo Aguzzi, della redazione del giornale anarchico “Guerra di classe” e il ventotto luglio 1938 fu segnalato dall’Ufficio C.S. del C.T.V. al Ministero dell’Interno fascista come “anarchico, vecchio d’età” e “miliziano all’esercito rosso”. Lasciata la penisola iberica nel febbraio del ’39, fu internato ad Argelès-sur-Mer, dove aderì al gruppo “Libertà o morte”, poi evase dal campo e inviò al “Risveglio”, al “Martello” e all’“Adunata dei refrattari” molte corrispondenze dalla Francia meridionale. Tornato a Ginevra e accusato, ancora una volta, dai fascisti, il dodici novembre 1939, di voler “venire presto nel Regno con propositi criminosi” (cioè terroristici), si occupò della diffusione, in Svizzera, dei fascicoli di propaganda anarchica, editi clandestinamente da Luigi Bertoni. Nel dopoguerra collaborò alla stampa libertaria e prese parte, a Livorno, al terzo congresso nazionale della Federazione anarchica italiana, insieme a Emanuele Granata, Aldo Demi, Dario Franci, Primo Menichetti e Lodovico Rossi (ACS, Roma, CPC, b.2873, fasc.86079).

5)Umanità nova, n.9, 29 febbraio 1948.
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Deposizione del cav. Fabio Trabacci,
di anni 60, nato a Siena, domiciliato a Massa Marittima, direttore del Monte dei Paschi, davanti al Tribunale penale di Grosseto, 16 settembre 1914.

“Nella mattina dell’11 giugno ultimo un certo numero di dimostranti in occasione di uno sciopero, invasero il locale del Monte dei Paschi, recandosi dapprima nell’Ufficio di ragioneria, imponendo al ragioniere Paradisi Pietro, e ad un altro impiegato Grassini Giuseppe, di chiudere i locali dell’Istituto. Il ragioniere rispose che ciò non era in sua facoltà, e si fossero rivolti da me. Vennero infatti nel mio gabinetto, senza farsi nemmeno annunciare, una ventina di quegli individui, capitanati da un tale che non so indicare nelle sue generalità, ma mi fu poi assicurato essere un tal Nozzoli Guisnello, e che vedendo saprei riconoscere. Costui e un altro anziano (un tal Targi, se non ricordo male, come mi fu indicato: potrà essere identificato dal mio ragioniere) mi chiesero in forma recisa e perentoria tale che suonava una vera e propria coartazione alla libertà individuale, la chiusura dei locali dell’Istituto. Lungi dal cedere alla imposizione intimidatrice risposi in tono non meno reciso che il mio Istituto non era un negozio di frutta o di commestibili, che dovevo invece attendere all’esplicazione di un pubblico servizio, e perciò non avrei aderito, anche per la forma con la quale mi si erano rivolti, a quanto mi si chiedea. Il Nozzoli e il Targi replicarono sullo stesso tono che altri Istituti aveano invece consentito, chiudendo, al che opposi che ognuno era padrone di regolarsi nel proprio ufficio come meglio credeva, ma io nel mio non ero disposto a cedere. Visto il mio tono fermo e reciso, i due andarono via seguiti dagli altri dimostranti, e senza recarmi ulteriori molestie. Solo il Nozzoli si allontanò brontolando: “Terremo conto del suo rifiuto per un’altra volta”. Ed io risposi: “Si accomodino pure”. Ricordo pure che, al mio primo rifiuto, il Nozzoli guardando i suoi compagni, e poi rivolgendosi a me, chiese: “Ma, e se noi si rovesciasse i banchi?” Ed a quella minaccia, io fermo, con la calma che mi imposi dal primo momento, risposi: “Facciano pure”. Altro non mi consta. Letto, confermato e sottoscritto Fabio Trabacci.”
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Quisnello Nozzoli e Domenico Ludovici a Barcellona nel 1936
“Ministero dell’Interno. Copia

Barcellona 25 ottobre 1936

E’ giunto da pochi giorni a Barcellona l’anarchico Domenico Ludovici fu Francesco e Giannini Adele, nato a Cagli il 2 -9-1884. Ha preso alloggio all’Hôtel Oriente (una volta l’hôtel Oriente era riservato ai gran signori). Il Ludovici è di professione vetraio. Possiede un passaporto n.A.192438/1437 E.5, rilasciatogli dal Console di Ginevra in data 20-3-1929.
Ella mi domandò notizie di costui nel marzo e maggio 1932, ma in quell’epoca non fu possibile rintracciarlo. Il Ludovici è giunto a Barcellona accompagnato dal fratello dell’anarchico Nozzoli. Il Ludovici si accompagna spesso con Artorige Nozzoli, di cui si dimostra molto amico. Accludo una recentissima fotografia del Ludovici. Assieme al Ludovici è giunto a Barcellona, proveniente dalla Francia, il connazionale Nozzoli Quisnello di Martino e fu Cambi Carolina, nato a Lastra a Signa (Firenze) il 9-4-1884, di professione calzolaio. Questo Quisnello è fratello di Artorige Nozzoli, l’assai noto capellaio di Barcellona. Quisnello si dichiara anarchico militante trionfante. E’ stato espulso dalla Francia ed ora gira per Barcellona, privo di qualsiasi documentazione… Si tratta di due individui violenti e pericolosi”.

( Tratto da ” Gli antifascisti grossetani nella guerra civile spagnola” di Fausto Bucci, Simonetta Carolini, Andrea Tozzi e Rodolfo Bugiani –  Follonica 2000)